Un anno ad Asmara: EritreaLive intervista Yordanos Mehari
YORDANOS MEHARI, un anno ad Asmara – Parte prima
Un anno ad Asmara. Dall’Italia all’Eritrea, per lavorare.
Yorda è una giovane donna eritrea, nata e cresciuta a Milano.
Un percorso al contrario, dall’Italia in Eritrea, ad Asmara, per vivere e lavorare là, come mai?
Come molti eritrei anch’io sono nata nella diaspora. Con la famiglia sono tornata in Eritrea, paese con cui abbiamo un profondo legame, prima dell’indipendenza, quando avevo due anni.
La comunità eritrea in Italia è forte e molto unita. Io però ho sempre avuto voglia di vivere in Eritrea, non di andarci solo per le vacanze.
Un progetto rimandato fino a quando non ho terminato gli studi.Poi si è avverato quello che molti di noi sognano, trovare lavoro in Eritrea.
E il motivo per cui ho accettato il lavoro è un motivo profondo, non solo pratico.
Sono tornata in Eritrea perché volevo riscoprire le mie origini. Volevo ritrovare quella parte di me rimasta lì.E ritrovare anche la famiglia. Vivere la quotidianità senza la fretta di quando si va in Eritrea per le vacanze. Volevo vedere com’è il paese quando non c’è la diaspora che torna, quando non è estate e non si è in vacanza.
Che situazione hai trovato nel Paese?
Rimanendo lì per un anno ho potuto capire e scoprire quante delle mie sensazioni e dei miei pensieri fossero in sintonia con la realtà del paese. È stata un’esperienza che mi ha arricchito tantissimo.
Che lavoro hai fatto in Eritrea?
Ho lavorato ad Asmara, per un’Agenzia delle Nazioni Unite, l’ UNFPA (United Nations Population Fund).
È stata una bella opportunità, un’esperienza molto interessante. Ho visto cosa si fa per migliorare la vita della gente, per risolvere i problemi delle donne, delle donne in gravidanza, degli adolescenti, dei giovani.
Ne ho capite le difficoltà. Ho visto quello che si è fatto e quello che si deve ancora fare.Parlo bene tigrino, per questo le relazioni con le persone per me sono state semplici.
Mi sono immedesimata nella vita di molte donne, nelle situazioni difficili e ho pensato, potrei essere io. Sai vedere le statistiche o leggere i numeri è molto differente dal guardare le persone negli occhi.
Questo lavoro mi ha aiutata ad avere una percezione molto più concreta dei problemi e del cammino del mio paese, di quello che si sta facendo.
Secondo te la presenza di agenzie Onu come l’ UNFPA o l’UNDP è positiva?
Sì, per quello che ho potuto vedere, è molto positiva. L’ UNFPA nel mondo, non solo in Eritrea, si dedica alla vita delle donne, a progetti sociali. In Eritrea i loro progetti rinforzano i progetti gia avviati nel Paese, alcuni dei quali iniziati anche prima dell’indipendenza.
C’è comunanza tra i progetti UNFPA e quelli del Paese?
Si. L’Eritrea è uno dei pochi paesi in Africa ad aver raggiunto molti Obiettivi del Millennio, (2, 4, 5 e 6) soprattutto quelli sulla salute e sull’educazione.
Senza molti soldi, senza grandi investimenti. Con la volontà di agire. Così è stato fatto per l’educazione, nella sanità, per fermare l’HIV e malaria.In quest’ultimo caso, per esempio, si è investito sopratutto sulle zanzariere.
Per diminuire la mortalità infantile sono stati creati non grandi ospedali ma piccoli centri per distribuire i vaccini.
L’Eritrea, con il suo impegno nel sociale e la voglia di agire per migliorare la vita delle persone, è diventata un modello per l’Africa.
Però il giudizio dell’Eritrea sulle ong non sempre è stato positivo…
L’Eritrea ha sempre creduto nella partnership, non in organizzazioni che arrivano e attuano progetti che non combaciano con il piano nazionale di sviluppo.
Le agenzie delle Nazioni Unite stabiliscono il loro piano di lavoro con le istituzioni nazionali, lavorano insieme, spesso in supporto ad attività già avviate.Noi crediamo nel concetto di sustainability , nel senso che gli interventi nel paese non devono avere una durata di pochi anni, senza coinvolgere chi li riceve.
I progetti devono continuare nel tempo. Quando le agenzie lasciano il Paese o decidono di finanziare determinati progetti piuttosto che altri, le cose fatte devono rimanere. Più che ai cambiamenti immediati e ai numeri eccezionali, noi crediamo nei cambiamenti lenti che non stravolgono cultura, religione, valori.
L’Eritrea ha nove gruppi etnici. I cambiamenti perciò, per essere positivi, devono essere accettati e benvoluti da chi li riceve. La popolazione coinvolta, di un villaggio o di una regione, deve capirne lo scopo, il senso.
Come per la lotta alla mutilazione genitale femminile?
Sì la lotta alla mutilazione genitale femminile comincia prima dell’indipendenza.
Poi arriva la legge, nel 2007.
Le donne eritree dell’organizzazione NUEW National Union of Eritrean Women
spiegano che non hanno proposto subito una legge contro la mutilazione per poter prima intervenire sulla mentalità di chi l’accettava.Per avere un cambiamento le persone devono prima capire. Un tempo la mutilazione era un rito di cui andare fieri, una tradizione da rispettare.
Non si capiva il danno sulla salute e sulla psiche di bambine e giovani donne.Perciò, prima di fare una legge, bisognava convincere le persone che quello che facevano era sbagliato. Non si poteva partire dalle punizioni. Inoltre è necessario intervenire in ogni villaggio dove si praticano le mutilazioni, non solo nelle città.
Com’è oggi la situazione nel Paese, a dieci anni dall’entrata in vigore della legge?
Si agisce in modo capillare sia nella capitale sia, soprattutto, fuori Asmara.
C’è grande attenzione. Non è facile scoprire dove viene ancora praticata perché ora è fatta in segreto. Ci sono donne e commissioni che hanno il compito di controllare che non avvengano più le mutilazioni. A Keren, per esempio il gruppo di donne che se ne è occupato, in un anno, ha segnalato tre casi. Le persone coinvolte pagano una multa simbolica perché, ripeto, non si vuole punire ma scardinare la tradizione. I gruppi che lavorano per questo scopo sono formati da persone differenti. Alcune appartengono al Ministero della Sanità, le donne spesso sono del NUEW.
Per la salute dei bambini cosa si sta facendo?
Ho partecipato a un meeting in un villaggio fuori Asmara. Il racconto delle donne era focalizzato sull’aiuto dato ai giovani genitori, per spiegare loro l’importanza delle vaccinazioni. I volontari sono persone che spesso operano in campo sanitario e seguono il villaggio dove vivono, che conoscono molto bene.
Persone che, dopo il lavoro, la sera vanno da chi ha bisogno, fanno informazione. Tengono statistiche. Per esempio ho visto quelle sulla mortalità infantile, sulla salute delle donne in gravidanza, sulla salute del bambino. Erano appunti dettagliati.
Inoltre, se possono, cercano soluzioni. Per esempio se sono a conoscenza di donne in gravidanza con problemi di vitamine o anemia, chiedono aiuto al ministero di Asmara per portare nel villaggio i medicinali che servono.
I giovani in che misura collaborano?
Sono molti i giovani che lavorano a livello locale, per esempio per la prevenzione dell’HIV o nella distribuzione di preservativi ad occuparsene è il NUEYS (National Union of Eritrean Youth and Students). Nei villaggi lavorano molti giovani.
C’è un’ottima organizzazione che opera sia ad Asmara sia fuori.
Tutti partecipano, giovani, donne, anziani, uomini. Ognuno esprime la propria opinione.
Ogni parere è considerato. Non si tratta di mettere una croce su un foglietto ma di farsi ascoltare.In Eritrea quando due persone litigano, si cerca una mediazione, senza punizioni o premi, per smussare gli attriti. Un concetto molto interessante, molto bello che fa parte della nostra cultura, della nostra tradizione.
Certo sono molti gli aspetti dell‘Eritrea che l’Occidente non conosce…
Marilena Dolce
@EritreaLive
Cara Yordanos! Tu sei un grande esempio per i nostri figli. Spero che tu riesca a trovare tempo per passare la tua testimonianza in giro in Italia e perche’ no anche all’estero. Ti auguro tutto il successo nel tuo impegno.
Cara Yorda, sicuramente ci sei mancata dal lavoro delicato che svolgevi nel nostro gruppo e sono certo che sei andata ad occuparti di un altro altrettanto importante lavoro. Auguri.