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Lampedusa, fragile ponte tra Africa e Europa

Marilena Dolce
04/01/14
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3 ottobre – 3 gennaio 2014 

Eritrea Live intervista Zerazion Bizrat, cittadino con doppia nazionalità italiana ed eritrea. Studi e lavoro in Italia, terra che ama, portandosi nel cuore quella rossa di Asmara.

 © Michele Pignataro, Asmara, Harnet Avenue

© Michele Pignataro, Asmara, Harnet Avenue

 

Dopo Lampedusa capire i motivi che spingono i giovani a rischiare la vita pur di uscire dal Paese è veramente importante. Come mai la generazione nata in un paese finalmente libero ma che ha già visto una guerra (1998-2000), ora se ne va? 

Il problema è il confine. Se i ragazzi eritrei non fossero obbligati a stare sul confine di Badme la situazione sarebbe diversa. Da entrambe le parti, Etiopia ed Eritrea, ancora oggi  ci sono molti soldati, migliaia. È anche un problema di numeri: l’Eritrea ha circa sei milioni di abitanti, è un paese piccolo, l’Etiopia ne ha ottanta milioni. E poi gli eserciti hanno composizioni differenti, quello etiope è formato da persone per le quali l’esercito è la salvezza, tre pasti, uno status, insomma un buon lavoro per gente che non saprebbe che altro fare, è un esercito di volontari. Diverso è l’esercito eritreo composto da coscritti.

Io capisco la stanchezza di molti amici, stare nell’esercito non è il loro sogno.

Scappano perché inseguono un sogno?

Ci sono sicuramente ragazzi che escono dal paese per motivi politici ma sono convinto, per aver parlato con tantissimi di quelli che sono usciti dal paese, arrivando in Europa fortunatamente sani e salvi, che quello che li spinge a emigrare è avere subito un buon lavoro, pensando di poter tornare un giorno in patria con abbastanza soldi per costruire una casa, avviare un’attività, avere una famiglia. Insomma il sogno dell’emigrante, come quello delle scorse generazioni italiane.

Oggi in Eritrea come si vive?

L’Eritrea è un paese che ha risorse, che ha ereditato dal colonialismo italiano, con l’apprendistato, la capacità di fare. Le possibilità ci sarebbero. Non dimentichiamo che dal 1993, anno dell’indipendenza, fino al 1998 il nostro è stato un paese in crescita. Poi tutto si è fermato. Se l’accordo di Algeri del 2002 fosse stato rispettato, se l’Etiopia non fosse più nel nostro territorio, come stabilito, il futuro sarebbe diverso. Fino al 1998 nessuno scappava, le persone in diaspora rientravano.

Il mancato rispetto del confine di Badme per l’opinione pubblica internazionale è un alibi che il paese ha scelto per chiudersi al mondo esterno, in stile “Corea del Nord” analogia coniata nel 2010 da Jeune Afrique 

A noi giovani i sogni li ha portati via la situazione internazionale, come dice la ragazza intervistata ad Asmara nei das, i capannoni del lutto,  dopo la tragedia di Lampedusa dello scorso 3 ottobre.

Il nostro paese è uscito da trent’anni di combattimenti (1961-1993) vincitore ma stremato, con un terreno inaridito, senza infrastrutture decenti. In questi anni sono state costruite scuole, ospedali, strade, è stato avviato il commercio.

Io credo nel futuro dell’Eritrea.

E mi lasci dire, Badme non è un “alibi”. È un villaggio dove la gente viveva e ha dovuto andarsene, lasciare la casa, lì ora c’è una guerra tra poveri…

Uscire dal paese legalmente o peggio, illegalmente, è l’unico modo per costruirsi un futuro?

Guardi, i giovani che escono dal paese, e tra questi anche quelli purtroppo morti a Lampedusa, sono ragazzi istruiti che vogliono decidere il proprio futuro.Cominciano il servizio militare, poi non resistono, allora decidono di correre il rischio, di scappare da uno stato azzoppato per inseguire i propri sogni. Per alcuni fortunati e meritevoli avere un visto è semplice, sono bravi hanno buoni voti, così dopo il College, le Università straniere offrono visti e permessi di soggiorno. Per gli altri resta la via pericolosa, quella spianata dai trafficanti, loro sì che glielo rubano il futuro.

Ma com’è oggi la situazione di chi vive in Eritrea?

Quand’ero piccolo molti paesini non avevano mai visto l’asfalto o l’elettricità.

Un mio amico mi raccontava che lui da bambino non sapeva cosa fosse l’elettricità e quando l’ha vista ha pensato fosse una magia. Oggi ci si lamenta perché ad Asmara la luce va e viene, si dovrà migliorare ma questo, secondo me, accade perché più persone hanno la luce, sono aumentate le utenze.

In un certo senso io sono fortunato, vivo all’estero, lavoro, non ho problemi. Però il mio sogno è di non essere più un beles

Il mio sogno è tornare in Eritrea, anzi mi correggo perché il verbo è sbagliato, il mio sogno è andare in Eritrea perché quella è la mia terra e non vorrei più essere come i fichi d’india (beles) uno che arriva ad agosto, nella stagione delle piogge e dei beles e che poi riparte.

Sogno di fermarmi.

Marilena Dolce

Marilena Dolce, giornalista. Da più di dieci anni viaggio verso il Corno d'Africa e da altrettanti scrivo ciò che vedo. Soprattutto per Eritrea ed Etiopia ma non solo. Dal 2012 scrivo per EritreaLive, notizie e racconti in diretta dall'Eritrea. Perchè per capire il mondo bisogna uscire dal proprio quartiere, anche solo leggendo.

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