Eritrea, plastic zembil, borse per la spesa in plastica riciclata
Plastica al bando. Dove mettere la spesa? In Eritrea nelle plastic zembil
In tutto il mondo la plastica è diventata, e continua a essere, un problema.
Il 2018, infatti, è iniziato proprio all’insegna della lotta alla plastica.
In Inghilterra Therasa May ha dichiarato che, tempo “venticinque anni”, saranno abolite bottiglie, bicchieri e confezioni usa e getta di plastica.
In Italia invece è entrato entrato in vigore l’uso esclusivo e obbligatorio (pagandoli) di sacchettini ultra leggeri, di plastica biodegradabile, per pesare e prezzare alimenti sfusi, come pane, ortaggi e frutta. Una normativa che completa l’abolizione di imballaggi e borse di plastica entrato in vigore nel 2011.
Il problema della plastica, come abbiamo imparato, è il suo lento e difficile smaltimento. Un’incompleta biodegradabilità che inquina soprattutto i mari. Mediamente otto milioni di tonnellate di plastica ogni anni vi finiscono. Continuando così nel 2015 ci sarà più plastica che pesce.
Viviamo in un mondo di plastica, non metaforicamente purtroppo. Vestiti, bottiglie, cosmetici, imballaggi, oggetti quotidiani che una volta terminato il loro uso non si smaltiscono, causano un forte allarme ecologico.
È a metà Ottocento che la plastica comincia a sostituire materiali più nobili e preziosi come ambra e avorio. Solo nel ‘900 però arriva massicciamente nelle case europee. Il suo nome è bachelite, pvc, cellophane, nylon, fòrmica.
Negli anni Sessanta in Italia si comprano stoviglie di moplen, pratiche, moderne, indistruttibili. Senza ancora sapere che proprio quest’ultima qualità reclamizzata sarà il problema.
Dove finisce, infatti, tutta quella plastica? Per lo più nei fiumi e negli oceani, con la conseguente morte di uccelli, pesci, tartarughe e altri mammiferi marini che restano soffocati o imbrigliati nei suoi scarti.
Le statistiche dicono che nel canale della Manica un pesce pescato su tre ha ingoiato plastica.
La plastica, però, non provoca problemi solo al mare, anche la terra ne è colpita. Per salvare terra e mare molti paesi africani, ultimo il Kenya, l’hanno bandita.
Tra i paesi africani che hanno escluso l’utilizzo della plastica il primo è stato, nel 2005, l’Eritrea. Seguita da Tunisia, Marocco, Ruanda, Uganda, Tanzania, Somalia, Botswana, Etiopia, Mauritania.
Quando l’Italia ha abolito i famigerati sacchetti in plastica per la spesa il livello di consumo pro capite era di circa 400 buste annue.
L’alternativa è stata l’utilizzo di borse di tessuto oppure di plastica, purché riciclabili.
Il riciclo è l’arma vincente, abbassando drasticamente i numeri del consumo.
E così si è fatto in Eritrea. Le borse per la spesa, infatti, sono realizzate con plastica riciclata, oppure con fili di palma intrecciati. In entrambi i casi molto belle, colorate, resistenti, per nulla inquinanti.
La ferrea battaglia contro la plastica, per eliminare il pericolo di intasare grondaie e canali di scolo e per salvare gli animali da allevamento e da cortile oltre ai pesci del Mar Rosso, è stata vinta.
A più di dieci anni di distanza dall’uscita della legge si può dire che l’abolizione della plastica è rispettata e il suo riciclo avviene ovunque, anche fuori dalla capitale Asmara.
Certo l’uso della plastica resta, per esempio per le bottiglie di acqua minerale, chiamata appunto “plastic water”. Anche in questo caso la plastica non si butta in mare, si ricicla.
Le classiche borse per la spesa, le zembil prodotte dalle diverse cooperative di donne, sono fatte proprio di plastica riciclata.
Sono plastic zembil lavorate con fili di plastica sottili e colorati, usati come fossero cotone. Lunghi fili intrecciati per creare disegni diversi, tutti bellissimi.
Gli interni delle borse a volte lasciano intravedere con il logo l’origine della plastica riutilizzata, quasi un distintivo ecofriendly.
Belle, naturali, ecologiche, artigianali le plastic zembil hanno molti pregi, manca loro solo un brand per l’esportazione…
Marilena Dolce
@EritreaLive
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