
L’Alto Commissariato per i Diritti Umani, in una nota informativa, ha annunciato il viaggio in Italia (22-26 settembre) di Sheila Keetharuth, speciale rapporteur per le Nazioni Unite sui diritti umani.
Il suo compito sarà quello di raccogliere informazioni ascoltando migranti e rifugiati politici presenti nel nostro Paese.
La signora Keetharuth incontrerà alla Camera i Comitati sui diritti umani e sulle questioni africane per parlare della situazione eritrea, una situazione, per il momento, vista solo dall’esterno.
E questo in sostanza è il motivo del viaggio in Italia: cercare testimonianze, all’estero, sulla mancata osservanza dei diritti umani in Eritrea, perché dal suo insediamento (2012) a oggi la signora Keetharuth non è entrata nel Paese.
In effetti le autorità eritree, molte volte scottate dall’acqua calda, come usa dire, ora hanno paura anche di quella (presumibilmente) fredda. Alcuni rapidi esempi, per spiegare il punto di vista americano sull’Eritrea: “inchiodare e schiacciare l’Eritrea”, scrive telegrafico un diplomatico americano (fonte Wikileaks) oppure, più ufficiale, Susan Rice, Ambasciatrice americana alle Nazioni Unite, “gli Stati Uniti sono lieti di annunciare” l’imposizione di sanzioni contro l’Eritrea.
Per inciso ricordiamo che Susan Rice non ha mai nascosto il legame di affetto e amicizia con Meles Zenawi e l’Etiopia. Per andare un po’ indietro negli anni, nel 1950, il segretario di Stato americano, John Foster Dulles, dichiara all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che, sebbene i desideri del popolo eritreo dovessero essere tenuti in considerazione, “gli interessi strategici degli Stati Uniti nel bacino del Mar Rosso impongono che il Paese venga legato al nostro alleato, l’Etiopia”.
E quegli interessi geopolitici negli ultimi sessant’anni non sembrano essere cambiati.
Tornando alla Commissione d’inchiesta sui diritti umani in Eritrea di cui fa parte la signora Keetharuth, il suo compito sarà stabilire, osservando il paese dall’esterno, cosa avviene in Eritrea, se ci sono “violazioni dei diritti umani, uccisioni extragiudiziali, sparizioni forzate e detenzione in isolamento, arresti e detenzioni arbitrari, tortura, condizioni carcerarie disumane, se il servizio nazionale a tempo indeterminato è una violazione dei diritti dell’uomo, se c’è o meno libertà di espressione, di opinione, di riunione, di associazione, di credo religioso e movimento”.
Per svolgere questo delicato compito la signora Keetharuth incontrerà i rifugiati eritrei, probabilmente i richiedenti asilo nel nostro paese indicati dalle associazioni umanitarie che di loro si occupano, soprattutto l’Agenzia Habeshia di don Mussie Zerai e Gandhi, onlus di Alganesh Fessha, premiata lo scorso anno a Milano con l’Ambrogio d’oro.
A luglio il vice ministro Lapo Pistelli, dopo una visita in Eritrea, cogliendo di sorpresa molti, ha dichiarato, al termine di un colloquio con il Presidente Isaias Afwerki, che “la pace si fa con i nemici, con gli amici si va a mangiare una pizza”.

Fuor di metafora, l’augurio era quello di una ripresa delle relazioni bilaterali, partendo proprio dai diritti umani, dal traffico di uomini e dalla situazione di stallo Eritrea-Etiopia, dopo il mancato rispetto dell’Accordo di Algeri (2002) seguito allo scontro del 1998-2000.
Ricordiamo che, ancora oggi, truppe etiopi sono presenti nel territorio che gli accordi internazionali, come le precedenti carte coloniali, definiscono eritreo.
Per intendersi, è come se l’Italia avesse invaso Bellinzona, ritenendola italiana per via del nome, e quindi fosse stupita per la successiva bellicosità svizzera, Paese da sempre neutrale.
Questa situazione paradossale, che l’estero ostile all’Eritrea, giudica un alibi, un pretesto per tenere prigionieri i giovani, in realtà è uno stato di “non pace non guerra” una guerra che l’Eritrea cerca di evitare con il pesante risultato di avere un paese in pace con un’economia e una vita da tempo di guerra. Da quattordici anni, ragazzi e ragazze nati dopo l’indipendenza, non riescono a guardare con serenità al proprio futuro, non vedendo un avvenire per sé e per il proprio (amato) paese.
Ma può un paese invaso da un altro, non avere un esercito?
Per comprenderlo, più che interrogare giovani rifugiati, sarebbe bene studiare la storia recente.
I richiedenti asilo presenti in Italia daranno un quadro della situazione all’interno del paese in sintonia con la loro richiesta di “aiuto umanitario” un asilo diverso, nelle motivazioni, rispetto a quello politico.
I ragazzi eritrei che lasciano il Paese senza visto (che le ambasciate estere non concedono) sono informati, mettono in conto il rischio di un viaggio difficile, vogliono ottenere lo status di rifugiato e con esso il permesso di soggiorno, una casa, un sussidio. Non per niente i paesi più richiesti sono quelli dove il welfare è migliore, non l’Italia, paese di passaggio.
Questi giovani vedono, via internet, come si vive all’estero, dove spesso ci sono parenti che, negli anni della dominazione etiope, sono scappati in Europa, America, Canada.

La diaspora però non ha mai tagliato i ponti con le proprie radici.
Dal 1974 combattenti ed esuli ritrovandosi in Italia, a Bologna, uniti e solidali, organizzavano concretamente l’aiuto da inviare in patria a chi stava combattendo.
Con questo spirito si sono ritrovati a Bologna, quest’estate 2014, tantissimi eritrei, arrivati da tutto il mondo, per tenersi per mano ancora una volta, nonostante le grandi difficoltà del paese.
Di questo e molto altro potrebbe raccontare, se intervistata, la comunità eritrea italiana.
Le donne, per esempio, potrebbero spiegare alla signora Keetharuth, perché hanno raccolto, in Italia, soldi per un centro polifunzionale, medico e d’accoglienza, inaugurato a Keren lo scorso agosto, e perché ritengono prioritario il diritto alla salute.

Mi complimento con la sign.ra Marilena Dolce per l’articolo! Mi rincuora un pó sapere che in giro c’è ancora qualcuno che scriva i fatti per quello che sono.
Grazie Marilena Dolce, con parole giuste e tono pacato è riuscita a descrivere la vera realtà del nostro Paese. Aggiungo che la Comunità Eritrea in Italia ha chiesto con una lettera un incontro alla sig.ra Keetaruth che lo ha evidentemente ignorato. Mentre la Presidente della Camera Laura Boldrini (ex impiegata Onu) pur sapendo della nostra situazione si è complimentata dell’ottimo lavoro svolto dalla Keetaruth sull’Eritrea (quasi sicuramente altre sanzioni). Ovviamente le due signore interloquiscono soltanto con le Ong (Habeshia, Gandhi, ed altre,) che non rappresentano certo gli interessi dell’Eritrea bensì quelli dell’Etiopia.
Daniel
Mi piace l’ Eritrea . Mi domando perché solo adesso tutti sono tanto interessati alla carcerazione di alcuni ministri di allora ed altre persone che erano pericolosi per la nazione ? Nessuno chiede la liberazione – tutti la condanna …..adesso ??