Era eritrea la teleferica più lunga del mondo
ERA ERITREA LA TELEFERICA PIÙ LUNGA DEL MONDO
La teleferica più lunga al mondo è stata costruita in Eritrea, poi smantellata alla fine del colonialismo italiano.
Nel 1939 teleferica e littorina viaggiano ancora affiancate, l’una in cielo, l’altra in terra.
La teleferica più lunga al mondo sale e scende dall’altopiano verso il porto di Massawa. Percorre, per l’orgoglio dei progettisti italiani, circa settantadue chilometri, senza la paura dei dislivelli tra mare e montagna.
Nasce per l’idea di Benito Mussolini di creare un Impero in Africa Orientale. Quindi si costruiscono ferrovie, ospedali, cinema, alberghi. Si allargano le piazze per far posto ai mercati, si progettano villette per la zona europea. Dall’Italia arrivano in molti, con l’intento di trovare un lavoro, magari occupandosi di commercio. Si aprono aziende agricole e qualche industria. Tutti guardano con speranza al grande mercato che comprenderà oltre all’Eritrea, l’Etiopia.
Non che prima la colonia “liberale” eritrea fosse immobile. Però i soldi per gli investimenti scarseggiavano. La borghesia guardava con riluttanza un’esperienza coloniale pensata per dare benessere all’Italia da poco unita. Rimaneva una vicenda militare. Tra l’altro colpevole di grandi sconfitte, da Dogali ad Adua.
L’Africa Orientale Italiana invece deve diventare, nelle intenzioni fasciste, una mostrina da sfoggiare al tavolo dei grandi.
Questi i motivi di fondo per cui inizia la costruzione della teleferica. Il lavoro comincia nel 1935 e termina nel 1937. La teleferica percorre la tratta Massawa- Asmara. È un gioiello per il trasporto delle merci che salgono dal porto per arrivare sull’altopiano e viceversa. I commerci stanno aumentando sempre più e la teleferica, oltre ad essere rapida, abbassa i costi rispetto alla ferrovia o al trasporto con i camion.
Per dare un’idea, in quel periodo arrivavano a Massawa circa 3.500 tonnellate di merci al giorno. E la ferrovia poteva smaltirne non più di duecentocinquanta. Impensabile quindi trasportare il resto solo con autocarri.
Così la teleferica risolve il problema. La sua costruzione è affidata a un pool milanese, cominciando dalla Ceretti e Tanfani, “leader nel settore”. Che a sua volta si avvale della Giuseppe e Fratello Redaelli per le funi e dalla Franco Tosi per i motori. Insomma il meglio che l’Italia potesse offrire. Della Ceretti e Tanfani, fondata nel 1894 da due ingegneri Giulio Ceretti e Vincenzo Tanfani, sul sito si legge che erano pionieri della tecnica dei trasporti su fune.
Quindi la teleferica svolge egregiamente il suo lavoro, senza badare al dislivello di ben 2.300 metri tra le due stazioni estreme, Massawa e Godaif, alle porte di Asmara.
Lungo il percorso si contano 64 tralicci per il sostegno delle funi, 27 tettoie per proteggere la strada e la ferrovia. 1.538 vagoncini lunghi circa due metri, che possono trasportare fino a 300 chili. Hanno anche una copertura impermeabile per proteggere i sacchi, per esempio di farina o cemento.
La trazione è affidata a 8 motori Tosi. Il sistema che regge la teleferica è trifune.
Nel 1939, mentre si sta valutando la sostituzione dei motori diesel, per il costo del carburante, con quelli elettici, l’entrata in guerra dell’Italia ferma il progetto.
Non lo si immaginava ancora ma la guerra segnerà la fine della storia della teleferica, che in pratica funziona solo quattro anni.
Infatti quando, nel 1941, l’Italia perde la battaglia di Keren contro gli inglesi, le cose in Eritrea cambiano.
L’Italia, sconfitta nella seconda guerra mondiale, non è più una potenza coloniale e di fatto non ha voce in capitolo nel destino post coloniale dell’Eritrea.
È l’Amministrazione Militare Britannica (BMA) a governare l’Eritrea per poco più di dieci anni, dal 1941 al 1952. Poi, per decisione dell’Onu, l’Eritrea sarà federata all’Etiopia.
Nel 1944 inizia lo smantellamento della teleferica. Gli inglesi non vogliono avere problemi di sicurezza e gli shifta, i banditi arrivati insieme a loro, oltre ad assalire i convogli che percorrono le strade, assaltano anche le stazioni e i vagoni della teleferica.
In realtà l’amministrazione militare inglese vuole dividere l’Eritrea.
Da un lato lascia quindi al proprio posto gli italiani che si occupano dell’amministrazione, dall’altro guarda di buon occhio tutto ciò che può incentivare la partenza dei civili italiani. Compreso il banditismo degli shifta, che assaltano e depredano, a volte uccidendo, le attività italiane ancora in opera.
La teleferica entra così in un cono d’ombra. Non è più interessante il risparmio per trasportare le merci. In realtà non è più interessante il commercio né interno, né verso l’Etiopia. Per questo motivo gli inglesi, dicono alcune fonti, ne predispongono lo smantellamento. Lo sviluppo dell’Eritrea non è nei loro piani.
Potevano farlo?
C’è chi qualche dubbio ce l’ha. Scrive il maggiore inglese Peverell MacLaren, Capo dell’ufficio Affari Civili che, “secondo il diritto internazionale, l’Amministrazione Militare Britannica in Eritrea non può disporre di impianti, come la teleferica. Essi sono di proprietà del Governo Italiano, dal momento che la potenza occupante ha solo diritti di usufrutto su installazioni fisse di questo tipo”.
La teleferica però viene smantellata. Ma da chi e perché?
I motori Tosi sarebbero stati presi, come preda bellica, dagli inglesi. Sono loro che li avrebbero smontati e trasferiti altrove. Forse in Kenya oppure in India. Si appropriarono anche dei carrelli e dei cavi anche se non si sa bene per farne cosa.
Se il loro interesse era portare altrove i pezzi della teleferica, perché non chiedere alla Ceretti e Tanfani di recuperarli e ricostruirla?
Di fatto l’amministrazione militare inglese, con lo smantellamento della teleferica, raggiunge tre importanti obiettivi. Recupera in parte i costi bellici, elimina un sistema di trasporto efficiente e competitivo e rimuove la testimonianza delle capacità ingegneristiche italiane.
Ma non è detto che sia andata solo così.
Se si chiede ad Asmara, c’è ancora qualcuno di buona memoria che ricorda le vicende della teleferica. Così Vincenzo Meleca, scrittore amante del Corno d’Africa e soprattutto di Eritrea ed Etiopia, mi dice che, pur senza ricordare i nomi, nella capitale eritrea, molti raccontano che a smontare la teleferica sono stati anche gli italiani.
Un italiano Gianni Cinnirella scrive, quasi quindici anni fa, la sua testimonianza, rispondendo a un articolo sulla teleferica.
I motori, dice, non furono tutti portati via dagli inglesi. La BMA li mise all’asta. Due li comprò suo padre per “la “Ghiacciaia di Via Palermo”, altri due per “la Macinazione Eritrea di Via De Rosa, di fronte al Banco di Napoli” di cui il padre stesso era socio e consigliere”. Alcuni sono acquistati dalla SEDAO (Società Elettrica Africa Orientale) e dalla CONIEL (Compagnia Imprese Elettriche dell’Eritrea).
Gli inglesi tengono l’impianto telefonico della teleferica, e i cavi “arrotolati in bell’ordine nei magazzini di Asmara e Massawa”, scrive. Così come le attrezzature e le macchine per la manutenzione.
Restano decine e decine di chilometri di cavi e le strutture di sostegno che sembra difficoltoso recuperare.
A questo punto gli inglesi indicono, senza clamore, una gara pubblica per cedere ai privati quel che resta della teleferica.
E qui entra così in gioco il geometra Venturi che, spiega Cinnirella, è un “noto imprenditore in campo minerario, amministratore della miniera d’oro ex AMAO di Ugarò, persona benestante”.
Che il Venturi fosse “benestante”, Cinnirella lo afferma con “cognizioni di causa” dice, “essendo all’epoca impiegato al Banco di Napoli”.
Ancora nel 1959 effettivamente ad Asmara lavora Mario Venturi, amministratore unico della Azienda Mineraria Africa Orientale diventata, sotto l’imperatore Heilè Selassiè, Mining Company Eritrea SA. Una società che impiega circa 200persone
Sembrerebbe essere opera di Ventura lo smantellamento finale della teleferica. Un “lavoro ciclopico” affrontato assoldando una squadra di eritrei. Cento e più persone abili nel lavoro di scalpello, mazza e martello. Così pezzo per pezzo, gli operai smontano la teleferica, recuperando dai tralicci cavi e profilati. Poi tutto è caricato sui camion e portato verso Asmara o Massawa.
Il materiale è acquistato sia da italiani che lavorano in Eritrea e in Etiopia, sia esportato in Arabia Saudita. Tutto è riciclato. Della teleferica restano solo i piazzali in cemento e il ricordo, indelebile.
Quando negli anni Sessanta inizierà la lunga guerra degli eritrei contro l’occupazione etiopica della teleferica già non c’era più niente.
Il colonialismo italiano in Eritrea era finito e, con esso, anche alcune opere di pregio, come la teleferica.
Chi l’abbia smontata, con certezza non si saprà mai.
Però un giudizio chiaro sulla differenza tra colonialismo inglese e italiano lo scrive in Abissinia Evelyn Waugh, “l’idea di trattare un impero come un luogo dove bisogna portare delle cose, invece che portarsele via, l’idea di lavorare come schiavi invece di starsene sdraiati a oziare è estraneo al pensiero inglese. Principio invece alla base dell’occupazione italiana”.
Anche se, nel caso della teleferica, quanto a portar via, tra Italia e Inghilterra sembrerebbe essere stato un pareggio.
Marilena Dolce
@EritreaLive
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