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Biciclette ad Asmara, in Eritrea, tra storia e lockdown – Video Eritrea in due minuti

Marilena Dolce
27/01/21
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Biciclette ad Asmara, in Eritrea, tra storia e lockdown – Video Eritrea in due minuti

Biciclette ad Asmara, in Eritrea, tra storia e lockdown

Biciclette ad Asmara. In periodo di lockdown e limitazioni di movimento causa Covid-19, il modo migliore per spostarsi ad Asmara, ma anche in altre città eritree, è la bicicletta.

E, motivo a parte, non è un sacrificio perché la bici è nel dna eritreo. Tutti usano le biciclette. Non c’è bisogno di corsie riservate neppure quando c’è traffico, figuriamoci ora con poche macchine in circolazione.

Il ciclismo in Eritrea è uno sport nazionale che sforna fuoriclasse. Infaticabile, imprendibile, impareggiabile. I commentatori sportivi con questi aggettivi hanno raccontato le imprese di alcuni di loro, per esempio Daniel Teklehaimanot, corridore eritreo, grande talento del ciclismo.

Come lui molti altri campioni si allenano per le strade e lungo le salite dell’altopiano.

La storia della bicicletta in Eritrea risale al secolo scorso, quando i coloni italiani se le sono portate appresso, ripiegate nei bauli.

In Italia, agli inizi del Novecento, la bici è il mezzo che usano operai e contadini per andare al lavoro.

I coloni però, pur portando con sé le biciclette, ne vieteranno l’uso agli eritrei, che le utilizzeranno solo dopo il 1942.

Se a portare il ciclismo in Eritrea è stata la storia coloniale, a farne dei campioni sono geografia, clima e tanta passione.

Percorrendo il paese con le biciclette gli eritrei si accorgono dei vantaggi naturali. La capitale Asmara è a quota 2.400 metri, i suoi circuiti montagnosi, il clima secco, la forma fisica asciutta, aiutano i ciclisti ad avere grande resistenza.

Nel 1946 si tiene il primo Giro dell’Eritrea, la più antica gara d’Africa. Una corsa a tappe di ciclismo su strada che si snoda dalle spiagge di Massawa, fino all’altopiano, percorrendo tortuose e ripide salite. Dal 2009 il giro è entrato nel calendario dell’Unione Ciclistica Internazionale. Una decisione questa che ha contribuito ad aumentare il numero di ciclisti per passione e per professione. Ogni settimana in tempi normali, senza problema Covid-19, si tenevano corse. I cronisti locali le raccontavano con toni appassionati, degni della folla acclamante di tifosi.

La svolta nel ciclismo eritreo arriva però nel 2015 quando due dei suoi ciclisti, Daniel Teklehaimanot e Merhawi Kudus competono nel Tour de France. E Daniel Teklehaimanot indossa la maglia a pois, simbolo al Tour de France, del re della montagna.

Tornati in Eritrea i due ciclisti sono accolti come eroi nazionali.  Del resto il ciclismo è lo sport più festeggiato.

Tra i campioni del passato, vorrei ricordarne due che ho conosciuto, Giovanni Mazzola e Carmelo Saglimbeni.

Giovanni Mazzola, morto purtroppo qualche anno fa, mi raccontò in una bella chiacchierata ad Asmara nel suo negozio di sarto, le sue passioni, il lavoro, la botanica e il ciclismo.

Negli anni Sessanta aveva corso in bicicletta la volata Asmara- Elabered, affrontando con coraggio la difficile salita di Scimangius Ialai.

Poi l’altro campione, Carlmelo Saglimbeni, classe 1940 che incontro in Italia, a Roma.

La sua passione comincia in Eritrea da ragazzino, quando con una bicicletta in prestito arriva primo alla gara della scuola.

“Anziché andare al cinema la domenica”, racconta, “mettevo da parte i soldini per comprare i pezzi e avere la prima bicicletta”. Così costruisce la sua prima bici, un “cancello”, come dirà ridendo suo padre, ripensandoci anni dopo.

Anche con il “cancello” però per Carmelo arrivano buoni piazzamenti. Poi con la bicicletta da corsa, le vittorie.

“Il ciclismo in Eritrea era veramente duro”, dice, “di giorno si lavorava, di notte,  con il favore della luna, ci si allenava”.

Nel 1972 però il sogno di Carmelo, come del resto la vita di molti eritrei, si ferma. Il Derg, la giunta di Menghistu Hailè Mariam, vieta l’uso della bicicletta e impone il coprifuoco nelle città.

In seguito Carmelo lascia l’Eritrea per cercare lavoro in Italia, a Roma.

Senza dimenticare la bicicletta che resterà una grande  passione, ma non una professione. Anche se di gare ne vincerà tante, più di trecento.

In Eritrea in questi mesi complicati dall’arrivo del virus la bicicletta sta vivendo ancora un momento di gloria.

Tutti si muovono in bici. Chi già non l’aveva, l’ha acquistata.  La bici è il mezzo per fare la spesa, per consegnarla, per trasportare pacchi. Dietro la sella si legano sacchi di tela, kesha, da 25 o 50 chili, bombole del gas e altro ancora.

Per le vie della capitale si moltiplicano i punti di assistenza. C’è chi gonfia le gomme o stringe i bulloni. È un servizio utile che non costa nulla. Di solito si paga con una Nakfa.

E così, con la bici, per le salite di Asmara, ci si può sentire Girardengo e, come cantava De Gregori, “vai grande campione, nessuno ti segue su quello stradone”.

Anche perché pedalando in bicicletta ci si accorge che quelle che in macchina sembravano salitine, sono in realtà già un buon esercizio, almeno per i muscoli che di solito schiacciano la frizione.

Marilena Dolce

Marilena Dolce, giornalista. Da più di dieci anni viaggio verso il Corno d'Africa e da altrettanti scrivo ciò che vedo. Soprattutto per Eritrea ed Etiopia ma non solo. Dal 2012 scrivo per EritreaLive, notizie e racconti in diretta dall'Eritrea. Perchè per capire il mondo bisogna uscire dal proprio quartiere, anche solo leggendo.

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