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Adulis, il passato dell’Eritrea

Marilena Dolce
18/10/24
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Eritrea, l’antica città di Adulis al termine degli ultimi scavi

Adulis è il passato dell’Eritrea che riaffiora.

 L’ipotesi degli ultimi scavi italiani è che la città di Adulis nasca prima di diventare parte del regno di Axum. Ne parlano Serena Massa e Davide Gorla.

In Eritrea, anno dopo anno, dal 2011 ad oggi, sta tornando in superficie il passato dell’antica città di Adulis, un tempo affacciata sul Mar Rosso.

Era il 2010 quando ad Asmara incontrai i fratelli Angelo e Alfredo Castiglioni, classe 1937, archeologi, intraprendenti pionieri, amanti della ricerca. Entrambi di lì a poco avrebbero iniziato gli scavi ad Adulis, la “Pompei d’Africa” come la definirono.

“È in quel periodo che il CE.R.D.O, Centro Ricerche Deserto Orientale, da loro fondato, firma un accordo con il governo eritreo per iniziare gli scavi”, ricorda Serena Massa, attuale presidente. È lei che, con un gruppo di colleghi archeologi e architetti provenienti da diverse università italiane, sta continuando il lavoro dei Castiglioni, mancati qualche anno fa.

Adulis è una città a circa cinquanta chilometri da Massawa e tre ore di macchina dalla capitale Asmara. L’intuizione dei Castiglioni era che proprio Adulis fosse la meta di viaggi commerciali ed esplorativi verso la terra di Punt, “terra degli dei e delle meraviglie”, come testimoniano le antiche fonti egizie.

Inizialmente gli scavi riportano alla luce i monumenti paleocristiani, testimonianza delle ultime fasi di vita della città, lasciando intatta e da scoprire la sua vita precedente. Al momento dell’avvio delle ricerche l’area era un’indefinita distesa di sabbia, senza più niente di quanto rinvenuto dall’archeologo italiano Roberto Paribeni nel 1906 e dai successivi scavi. La città, sommersa alla fine del VII secolo d.C, era del tutto scomparsa.

Ora è tornata alla luce l’Ara del Sole, il complesso ritrovato da Paribeni che pensava fosse un antico tempio pagano, cui in un secondo tempo fosse stata sovrapposta una basilica tardo cristiana. In realtà la costruzione è unica, ed è stata eretta tra la seconda metà del IV e l’inizio del V secolo. Si tratterebbe quindi di una delle più antiche chiese cristiane presenti nel Corno d’Africa.

Lavorare ad Adulis, scavando in un’area di circa 40 ettari, ha rappresentato fin dall’inizio un’interessante sfida, come ben sapevano i Castiglioni.

Una sfida che continua. L’ultima missione di quest’anno è terminata a marzo. “Con me”, spiega la professoressa Serena Massa, Università Cattolica Sacro Cuore, “hanno partecipato Davide Gorla, alla sua seconda missione in Eritrea e Paolo Lampugnani, direttore del cantiere, oltre agli architetti del Politecnico di Milano. Per parte eritrea il gruppo di colleghi, dipendenti della Commissione Cultura e Sport, una struttura simile alla nostra Soprintendenza archeologica, è sempre più numeroso. Con loro lavoriamo sia sul campo, durante la missione, sia preventivamente, per la parte teorica”.

“La nostra sistemazione durante gli scavi”, continua Serena Massa “è spartana, non diversamente da quella degli inizi. Unica novità, non da poco però, un container uso cucina”.

“È bello lavorare ad Adulis”, dice Davide Gorla, “si entra a far parte di un grande gruppo italo-eritreo, un contatto che resta anche terminata la missione. Si parla, si gioca a pallone, a carte, si fanno tornei di scopa.  Mangiamo insieme, suoniamo, balliamo.  Si diventa amici al di là del lavoro e, tra una missione e l’altra, ne sento nostalgia”.

Davide, laureato in archeologia ha una specializzazione nello studio delle ceramiche.

“Sono molte le ceramiche che si trovano durante gli scavi, che è necessario fotografare, disegnare, catalogare. Però condurre queste attività è più complicato qui, visto che siamo all’aperto e non in laboratorio” dice Serena Massa. “C’è una parte spettacolare dello scavo, ma poi c’è anche lo studio dei materiali. Per fare questo secondo passo è necessario avere passione, capacità e dedizione, che sono qualità di Davide”, aggiunge la professoressa.

Dalle ceramiche possiamo capire la storia di Adulis?

“Sì”, risponde Davide Gorla “con lo studio che stiamo facendo capiamo molte cose: l’epoca, da dove provengono, chi le ha prodotte e perché, che funzione avevano. Sono indicatori che, insieme a tutti gli altri dati, ci permettono di ricostruire come vivevano le persone, che contatti avevano. I materiali ci confermano anche che Adulis era un crocevia di traffici commerciali tra Mar Rosso, Mar Mediterraneo e Oceano Indiano. Contatti commerciali ma anche culturali che gli antichi abitanti di questa città avevano con il mondo allora conosciuto. Lo studio dei reperti dice molto sulle persone, sulla loro vita quotidiana, sui loro gusti”.

“È vero” aggiunge Serena Massa “sono materiali semplici, non preziosi, che servono però a farci capire come vivevano, quali recipienti usavano, come cuocevano i cibi, che bevande bevevano”.

“Le prime case di Adulis”, spiega la professoressa, “erano capanne costruite con materiali deperibili. Dalle abitazioni paleocristiane delle ultime fasi, stiamo avvicinandoci a quelle che ci permetteranno di capire come si è sviluppata la città partendo dal nucleo primitivo del II millennio a.C, che fa di Adulis una delle prime città del Corno d’Africa. Una città cosmopolita frequentata da mercanti giudei, bizantini, greci, romani e dalla gente locale che, stando alle fonti antiche, sono i così detti ittiofagoi, cioè mangiatori di pesce e abitatori delle caverne, trogloditai. Non sono gli axumiti. Nelle iscrizioni antiche si legge ‘adulitai xai axumitai’ cioè sono indicati con due nomi distinti perché sono due diverse popolazioni. Solo in seguito, pensiamo circa nel III-IV secolo, Adulis entra nella sfera d’interesse e forse anche di controllo, della capitale del regno di Axum.

La nostra teoria, e questa è la notizia, è che Adulis non nasca come parte del regno di Axum ma che sia esistita precedentemente. È una questione che approfondiremo ma partendo da un presupposto che ribalta ciò che si è pensato finora, cioè che Adulis fosse nata come porto di Axum.

Per nostra fortuna Adulis è un archivio d’informazioni ricchissimo, per il momento però ancora sepolto e da interpretare”.

“La novità degli ultimi scavi” dice Serena Massa, “sono due vasi interi ritrovati da Iotham, funzionario del Museo di Massawa, che ha notato le imboccature che sporgevano dal terreno, forse venute alla luce grazie a un corso d’acqua che le ha rivelate Erano probabilmente una sorta di silos dove si stoccavano prodotti alimentari. Per saperne di più dobbiamo aspettare le analisi in laboratorio. Però sono la testimonianza di una fase molto più antica di quella paleocristiana. E questo è interessante”.

La prima parte del lavoro degli scavi di Adulis è stato ritrovare quanto già scavato in epoche precedenti. “Ora invece gli scavi operano su livelli più profondi, più antichi e in un settore messo in luce dalle piogge dove si spera di trovare strati non compromessi”, dice Serena Massa.

Passando ogni anno diverse settimane in Eritrea, si è creato un legame con la gente? Che rapporto c’è con il paese?

“Per me l’Eritrea è accogliente. Partecipiamo ai matrimoni, alle feste. Quando arrivo mi sento a casa”, conclude la professoressa Massa. Mentre Davide aggiunge, “Massawa è una città che affascina, le sue architetture sono bellissime e, nonostante sia una città che soffre, conserva un fascino speciale. Asmara invece è una città molto viva, pulsante, una città con il sorriso, lo stesso delle persone con cui è piacevole passare il tempo. Quando per lavoro ho viaggiato altrove, è capitato di dover stare attento, non così ad Asmara, una città che ti accoglie, una città sicura e pulita”.

Dunque aspettiamo la prossima missione e i prossimi scavi per continuare a seguire e raccontare la storia di Adulis, antica città eritrea.

Marilena Dolce

Marilena Dolce, giornalista. Da più di dieci anni viaggio verso il Corno d'Africa e da altrettanti scrivo ciò che vedo. Soprattutto per Eritrea ed Etiopia ma non solo. Dal 2012 scrivo per EritreaLive, notizie e racconti in diretta dall'Eritrea. Perchè per capire il mondo bisogna uscire dal proprio quartiere, anche solo leggendo.

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