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Roma, Via Curtatone, una storia eritrea

Marilena Dolce
06/09/17
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Foto Vincenzo Livieri – LaPresse

Roma, una storia eritrea a buon fine, dopo lo sgombero del palazzo di Via Curtatone avvenuto a fine agosto.

Lì vivevano moltissimi eritrei ed etiopici, anche se i giornali hanno quasi sempre scritto “rifugiati eritrei di Via Curtatone”.

Ignorando l’Etiopia che pure è uno stato molto più grande dell’Eritrea. E proprio dall’Etiopia molti emigrano. Per motivi economici e per motivi politici. Già perché in Etiopia ci sono gruppi, come quello numerosissimo degli oromo, in aperto scontro con il governo centrale.  

Torniamo agli eritrei. Nel palazzo di Via Curtatone certamente ce n’erano tanti.

Molti, dopo lo sgombero, hanno trovato una soluzione alternativa. Le loro vite sono tornate a essere normali. Di persone in regola, con l’unica colpa di aver abitato abusivamente alcune stanze di un grande palazzo.

Tante sono donne. Arrivate anni fa dall’Eritrea, in cerca di un lavoro. Via Curtatone è stata, a volte, la prima abitazione. Vicino alla stazione Termini e agli autobus per raggiungere al mattino presto il luogo di lavoro.

Le donne eritree sono brave. Una categoria professionale preziosa.  Spesso parlano italiano, lavorano bene, si affezionano alle famiglie italiane. Non a caso molti italiani che negli anni Cinquanta venivano via dall’ex colonia portavano con sé la domestica eritrea, baluardo dell’organizzazione famigliare.

Negli sgomberi di fine agosto una donna eritrea, che chiameremo Eden, ha rischiato di perdere tutto. Casa e lavoro. Invece c’è stato un lieto fine.

Eden è In Italia da parecchi anni, con un regolare permesso di soggiorno. Non sempre il suo lavoro è lo stesso. Perché, quando può, lascia l’Italia per tornare in Eritrea. Là infatti ha ancora parenti e amici da aiutare. Così, a volte,  il tempo dei  suoi viaggi non coincide con le esigenze della famiglia dove lavora. Perciò al ritorno deve cercare un nuovo posto.

Durante lo sgombero di Via Curtatone ad Eden, 65 anni, un poliziotto indica il gruppo dove mettersi.

È quello formato da donne, anziani  e bambini. A loro è data la priorità. Il poliziotto, dice Eden, è gentile. Le spiega che non deve preoccuparsi, che non dormirà per strada.

In quel momento però il cruccio di Eden è avvisare la famiglia dove lavora. Così chiama per spiegare la situazione. Per dire che non potrà, per un po’, andare a lavorare per occuparsi del loro parente anziano.

Ma la storia ha un epilogo differente. La signora, dopo aver parlato con Eden, le chiede di passarle un poliziotto.

E al poliziotto dice che Eden potrà alloggiare presso di loro. Che faranno tutte le procedure burocratiche perché la situazione abitativa e il lavoro siano regolari.

Il poliziotto acconsente. Eden lascia il gruppo di chi è in attesa di casa. Prende l’autobus e va al suo nuovo indirizzo.

La sua è una storia a lieto fine. Lei non ha urlato, né fatto parte di alcun presidio. Non ha versato lacrime e non ha sfilato con i manifestanti.

Però anche la sua è una storia di Via Curtatone.

La storia di una donna che, come molte altre, ha lasciato l’Eritrea, un paese dalla giovane indipendenza (1991). Stretto tra un passato coloniale italiano (1941) e l’efferata occupazione etiopica (1961-1991). Un paese attualmente sotto sanzioni, che sta ancora aspettando il rispetto del riconoscimento dei suoi confini (Accordo di Algeri, 2002).

 

 

Marilena Dolce

Marilena Dolce, giornalista. Da più di dieci anni viaggio verso il Corno d'Africa e da altrettanti scrivo ciò che vedo. Soprattutto per Eritrea ed Etiopia ma non solo. Dal 2012 scrivo per EritreaLive, notizie e racconti in diretta dall'Eritrea. Perchè per capire il mondo bisogna uscire dal proprio quartiere, anche solo leggendo.

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