Rinascita dell’Eritrea: una dichiarazione dell’ambasciatore Fesshazion Petros
LA RINASCITA DELL’ERITREA, UNA DICHIARAZIONE DELL’AMBASCIATORE ERITREO IN ITALIA, FESSHAZION PETROS
L’occasione dell’uscita del videoclip di Jovanotti girato in Eritrea ha fatto scrivere sulla stampa italiana che ci sarà pure la pace ma “l’Eritrea non è un paradiso”.
Perciò non è un luogo dove ambientare niente. Men che meno una storia d’amore Al Chiaro di Luna. Aggiungendo che, come noto, con le “canzonette” si fa politica. Quindi mostrare Asmara nella sua bellezza così com’è, non sarebbe politicamente corretto.
La risposta di Jovanotti non si è fatta attendere. La sua canzone, ha detto il cantante, parla di emozioni. Non è un reportage giornalistico. Tuttavia l’empatia che genera è in linea con lo spirito di cambiamento che lui stesso ha visto nel paese. La soluzione dei problemi, ha aggiunto, è guardare al futuro con speranza e progettualità.
Una progettualità che l’Eritrea ha in serbo da tempo. Rimasta congelata dal 2002, per lo stato di né guerra né pace durato fino allo scorso 9 luglio. Data in cui, ad Asmara, Eritrea ed Etiopia hanno firmato l’accordo di pace. Ora i confini tra i due paesi sono smilitarizzati. Le relazioni politiche e diplomatiche sono riprese. L’economia, senza più sanzioni, tolte il 14 novembre scorso, pronta a ripartire.
Per questo motivo l’ambasciatore d’Eritrea in Italia, Fesshazion Petros, nel lungo intervento che pubblichiamo interamente, inviato a diversi media, parla di rinascita del suo paese.
L’Eritrea è un paese con circa 4.5 milioni di abitanti che ha subìto una guerra totale. Non solo dai vicini cugini etiopici, con più di 100 milioni di abitanti, ma dal mondo intero suo alleato. Abbiamo subìto in questo periodo intense campagne internazionali di disinformazione, con lo scopo di isolare e destabilizzare il nostro paese.
L’Etiopia, guidata e controllata da un partito etnico minoritario, che aveva deciso di espandere la sua dominazione e influenza su tutto il Corno d’Africa, ha ottenuto in questo periodo l’appoggio incondizionato di molti paesi occidentali. Compresi gli Stati Uniti, prima con Bush poi con Obama.
Queste azioni destabilizzanti sono state attuate seguendo uno schema che doveva avere come finalità il cosiddetto “regime change”, di un governo considerato troppo indipendente e non disposto ad accettare una dominazione dell’Etiopia.
Una situazione dapprima rivelata da Wikileaks (ndr, cablogrammi spediti a Washington, nel 2009, dall’allora ambasciatore americano in Eritrea Ronald K.Mc Mullen) e in seguito confermata da fonti delle varie amministrazioni americane.
Venne perciò deciso di creare gruppi di opposizione esterni al paese, di accusare l’Eritrea di sostenere i terroristi Al Shabaab in Somalia. Questo per giustificare le sanzioni e impedire al paese di difendersi, indebolendolo ulteriormente.
Poi sono state ostacolate le rimesse della diaspora eritrea, qualificandole come “forzate”, quindi illegali. Inoltre hanno cercato di far fallire il programma di servizio militare e civile, nati per difendere il paese e ricostruire le infrastrutture necessarie. Per finire hanno cercato di dividere le varie componenti del paese su base etnica e religiosa, facendo credere esistesse una persecuzione etnica e religiosa dove invece c’è sempre stata convivenza.
Quando tutte queste azioni si sono rivelate inefficaci si è cercato di colpire la gioventù e di promuovere la fuoriuscita dei giovani dall’Eritrea. Il presidente Obama diede il via con il famoso discorso alla Clinton Global Initiative del 2012: “recentemente abbiamo rinnovato le sanzioni contro alcuni dei paesi più tirannici, tra cui Corea del Nord ed Eritrea, abbiamo partnership con gruppi che aiutano le donne e i bambini a scappare dalle mani dei loro aguzzini. Stiamo aiutando altri paesi a intensificare i loro sforzi e vediamo dei risultati”.
L’obiettivo era svuotare l’Eritrea per impedire di difendersi. Utilizzare poi la fuoriuscita di questi giovani per giustificare le accuse di violazioni dei diritti umani e di far in modo che l’Eritrea fosse condannata dalla Commissione dei Diritti Umani dell’Onu. Questo avrebbe permesso d’intervenire come si è fatto in altri paesi.
L’Eritrea per fortuna grazie al sostegno incondizionato del suo popolo e la determinazione del proprio governo, è riuscita a resistere. Tutti gli sforzi sono stati premiati dall’accordo di pace dello scorso 9 luglio con l’Etiopia del primo ministro Abiy Ahmed, che ha riconosciuto anche il ruolo importante sostenuto dall’Eritrea per stabilizzare la stessa Etiopia.
Se oggi siamo arrivati a una pace che permetterà a tutto il Corno d’Africa di pensare a un futuro di benessere e di prosperità, ciò è dovuto anche al grande ruolo dell’Eritrea e del Presidente.
Il 14 novembre scorso all’unanimità l’Onu ha tolto le sanzioni ingiuste all’Eritrea. allo stesso tempo poche settimane fa l’Eritrea è diventata membro della commissione dei Diritti Umani.
Ora l’Eritrea ha aperto i suoi confini con l’Etiopia con conseguente libera circolazione delle persone e dei beni.
Soprattutto adesso l’Eritrea si avvia a riprendere quel processo concreto che è stato interrotto nel 1998 dalla guerra con l’Etiopia. È un paese che vuole, in primis, fortemente percorrere la strada dello sviluppo e del benessere.
Di conseguenza i giovani saranno i primi a beneficiare di tutti questi sviluppi positivi perché non saranno più costretti ad emigrare per realizzarsi.
Invitiamo la comunità internazionale e in particolare gli amici italiani con cui condividiamo storia e cultura da molto tempo, di mettersi in linea con tale cambiamento, tralasciando i pregiudizi del passato.
L’Eritrea non è certo ancora un paradiso. Abbiamo tanti problemi che sono comuni a molti altri paesi. Ma siamo determinati a risolverli adesso che finalmente la pace ce lo permette.
A tutta la comunità internazionale chiediamo solo di esserci vicini e di sostenere questo processo di rinascita e rinnovamento.
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