Quale Africa: EritreaLive intervista Yonas Tesfamichael
Yonas ha aperto un canale youtube, Quale Africa, per parlare di Eritrea in Italia. Intervista di EritreaLive
Accento milanese, radici ad Asmara e l’interrogativo: quale Africa. Bisogna fare una nuova narrazione, dice durante l’intervista.
Io non mi sento italiano, canta Giorgio Gaber ma per fortuna, o purtroppo, lo sono. E tu, Yonas come ti senti, per fortuna o purtroppo?
Io mi sento italiano.
Sono cresciuto qua ma sono anche eritreo. Fortuna o purtroppo? Non so.
Mi va bene essere come sono, anche se potendo tornare indietro, vorrei crescere in Eritrea. L’Italia ora è casa mia e il “purtroppo” dipende, come per tutti, dalle giornate. Come per tutti gli italiani con due anime e una patria. E sono tanti…
Da poco hai aperto un canale youtube Quale Africa. Per raccontare quale Africa e a chi?
Quale Africa è il mio primo documentario.
Una ricerca per capire l’Eritrea, per capire quale Africa? Quella di Indro Montanelli o un’Africa indipendente? Per capire l’idea dell’Africa che, se fosse un brand, non apparterrebbe agli africani.
Quale Africa è il motivo per cui cerco di fare un’altra narrazione.
È già difficile raccontare l’Eritrea figuriamoci l’Africa, è impensabile. È un pianeta.
Per il rapporto Eritrea-Italia userei due parole, orgoglio e indignazione.
Indignazione è ascoltare quale Africa per Indro Montanelli. Quella della sposa bambina e della sua giustificazione: “perché in Africa è un’altra cosa”. Orgoglio è il sentimento degli eritrei. Può esserci un rapporto tra questi due sentimenti?
Secondo me sì. Sai il ricordo che c’è nella generazione dei miei nonni, che hanno vissuto il colonialismo italiano, non è un brutto ricordo. Forse c’erano altri timori. Non so se oggi, a livello di governi, questo rapporto sia ancora forte ma, dal punto di vista umano, continua a esistere. Un italiano che non conosce l’Eritrea è come se non conoscesse parte della sua storia.
L’Eritrea, dici in un video, è come una casa in costruzione. Però, per l’Occidente, a questa costruzione manca il tetto, fuor di metafora, la democrazia…
Capisco. La percezione è così. Io non so se manca il tetto. Manca la democrazia?
Penso che il termine vada approfondito. Noi lo colleghiamo alla parità, alla pace, ma non sempre è così. Soprattutto in Africa, per vicende storiche, la democrazia può essere apparente.
Per essere autentica bisogna, riprendendo la metafora, avere buone fondamenta prima del tetto. Ora il tetto non c’è. Però in Eritrea ci si sta lavorando e nel frattempo non c’è paura né costrizione.
Per dire, conosco quartieri di Milano dove la sera non giri in sicurezza e siamo in democrazia. In Eritrea mia moglie è andata in giro tranquilla, anche di sera e da sola senza che nessuno le dicesse niente.
Quando parli di ciclismo, sport che sta dando molte soddisfazioni all’Eritrea, racconti di una premiazione allo stadio vecchio di Asmara e dici che ministri e autorità erano a portata di mano…
Sì. In Italia è una cosa che non succede. In Eritrea un ministro è una persona come le altre, non solo per modo di dire.
Non c’erano cordoni di sicurezza?
Forse il ministro aveva qualcuno seduto vicino a lui, però gli si poteva parlare.
Qui sarebbe possibile? Se arriva un ministro c’è il mondo intorno a lui.È difficile spiegarlo, se però ci vai è chiarissimo quello che sto dicendo. Una dittatura terribile, con persone che sono parte di questo sistema dittatoriale, che non hanno protezione? Che nelle manifestazioni pubbliche camminano insieme agli altri? Ti sembra possibile?
Alcuni dicono che l’Eritrea non reagisce perché è stanca. Ma chi dice questo non conosce il paese. Il carattere degli eritrei è tosto. Siamo andati sempre contro tutto e tutti, figurati se ci facciamo fermare. Reagiremmo.
L’atmosfera in Eritrea è diversa da quella che c’è in Italia, bisogna capirla, non essere superficiali.
“Ritorno in Eritrea” è il titolo di un video dove ritorni da “beles”, da vacanziere che arriva in estate insieme ai fichi d’india maturi. E tu, da vero milanese, parlando dell’altopiano dici: “a una certa comincia a far fresco”…
Io sono molto italiano…anche se per via della cittadinanza c’è un faticoso aspetto burocratico che però in qualche modo rafforza il sentirsi italiani. Il ritorno? È quello di un milanese nato ad Asmara.
Una bella accoppiata…
Puoi vedere le cose in due modi. Non solo con lo sguardo milanese. Un mix che permette di scoprire quello che da piccolo, a otto anni, non avevo visto o capito. Permette di riordinare i ricordi, le cose che non hai capito…
Il milanese in Eritrea si scontra con l’organizzazione?
Soprattutto con gli orari “dilatati”. Le quattro del pomeriggio possono diventare le sei, oppure il giorno dopo…
Senza che questo sia considerato maleducazione…
È un fatto culturale.
Se la puntualità divide milanesi ed eritrei, la solidarietà li unisce, entrambi ne sono capaci…
Sì. In Eritrea c’è molto il senso della solidarietà, della comunità…
“La strada che fa paura” dici parlando della strada che porta dalla capitale a Massawa, città sulla costa del Mar Rosso…
Una strada terribile. Un lungo zig zag con il burrone a lato. Una cosa da vertigini. Anche da piccolo durante quel percorso dormivo, stavolta ho provato a guardare, almeno un po’… è un’esperienza. Cambiano veramente le stagioni e gli scenari dalla partenza all’arrivo. È un viaggio piacevole. Oddio, se soffri di vertigini, non troppo…
Altopiano e costa, due mondi diversi nello stesso paese?
La montagna, se non ci fosse la strada, sarebbe una barriera naturale. Anche questa geografia fa capire il lavoro fatto come paese per mettere insieme le diverse parti rimaste a lungo isolate.
Poi arrivi a Massawa, alla spiaggia di Gurgussum…
Ci sono stato un pomeriggio. Volevo far vedere a mia moglie la struttura italiana che c’è ancora, con le scritte in italiano. È una bella spiaggia, poco sfruttata…
In Eritrea c’è l’idea di andare in vacanza a Massawa, scendendo dall’altopiano, da Asmara. Io da bambino ci andavo.
Tu hai viaggiato in macchina, immagino ascoltando musica eritrea, che ne pensi?
La mia anima milanese la sente monotematica.
Ha un suono diverso da quello a cui siamo abituati. Monotematica anche nei testi. Sempre patriottica. È una questione culturale. La musica è nata nei trent’anni di guerra ed è il risultato di una vita parallela, per raccontare e raccontarsi. Ecco, vedi, gli eritrei hanno difficoltà a raccontarsi al mondo però, all’interno della comunità, anche con le canzoni si raccontano e parecchio.Sai, qualche volta è stato criticato che si “balli sulle tragedie” ma ballare per gli eritrei è un fatto culturale. Chi lo critica non conosce e non capisce la nostra cultura. I guerriglieri, dopo aver combattuto, la sera ballavano. Anche dopo aver perso gli amici di una vita.
Il ballo, il canto sono un modo per metabolizzare il dolore. La musica è monotematica anche per questo, per affrontare il dolore, non solo la gioia.
Perciò bisogna rispettare la musica eritrea…
Sì. Come milanese, anche quando la sentivo in casa, l’ho sempre trovata poco orecchiabile. Però ho imparato a rispettarla. Da lì a piacere…
Non è musica come la intendiamo noi. È un modo per collegare tutti in un sentimento collettivo.
Non è una musica che vuole piacere. È una cultura orale che ha sostituito i libri nelle biblioteche.È importante, per ognuno di noi. Io ricordo i balli degli zii, dei miei genitori. Quando la domenica si riunivano per mangiare, poi ballavano intorno al tavolo. Io, guardandoli con i miei occhi sempre più milanesi, trovavo che fosse una cosa strana. Poi ho capito.
Gli eritrei quando cantano e ballano, con la loro musica, si sentono una cosa sola.
Nelle canzoni eritree la parola è più importante della musica. È un libro di storia, orale.
Noi però sentiamo solo la musica, non capiamo le parole e storciamo il naso.
Quest’anno in Italia, a fine marzo, c’è stata un convegno dei giovani eritrei della diaspora. Tu hai partecipato, com’è stato?
Sono andato per la prima volta ad un incontro di questo genere. La mia idea, motivo per cui ho aperto il canale youtube Quale Africa è cercare di conoscerci per capire il nostro paese d’origine.
Ho scoperto che questa conferenza, da 12 anni, si tiene ogni anno in un paese diverso.
È il momento in cui si riuniscono tutti gli eritrei di seconda generazione. La cosa bella è che ho incontrato anche ragazzi che non sono cresciuti in Europa ma in Eritrea.
Loro sono arrivati qui da grandi. Perché lo facciamo? È un momento in cui le persone, gli attivisti soprattutto, si trovano per parlare del presente e del futuro dell’Eritrea.
La prospettiva è quella di chi vive all’estero. Si cerca di non perdere il contatto con l’Eritrea.
Il bello è che siamo tutti volontari.
Tre giorni a proprie spese. Non una vacanza. Si paga una quota e si lavora.Io, per esempio, sono videomaker e quello ho fatto. Ho pagato e ho lavorato. È un tendere la mano al proprio paese, volontariamente. Chi vive qui potrebbe farsi i fatti propri.
Le persone che partecipano lo fanno senza che nessuno glielo chieda. Puoi farlo anche se non fai parte del YPFDJ (ndr Young People’s Front for Democracy and Justice)
Io, per esempio, non faccio parte dei giovani del partito.Non c’è la chiusura che si pensa. Per esempio, quando ho detto che avrei fatto riprese, molti erano scettici. C’è stata invece grande disponibilità. Dall’esterno può sembrare un ritrovo “segreto” ma non è così.
Il luogo del convegno, però, è stato tenuto segreto a lungo…
Sì. il viaggio è stato un po’ Hogwarts, da raggiungere con il binario 9¾, però è da capire.
Non so se servono queste misure di sicurezza, non so se sono a nostro favore. Per chi pensa che siamo chiusi non è una bella immagine. Non so cosa ha fatto scegliere questa linea…Penso sia una linea difensiva. Immagino per evitare scontri, per prevenire articoli negativi passati dalle organizzazioni contro l’Eritrea alla cronaca locale. Un po’ com’era successo a Bologna (ndr durante il Festival 2014)
Il nostro lavoro durante il convegno iniziava con la sveglia alle 6 della mattina…non è stata una cosa di solo divertimento. Se non sei interessato al convegno non ti bastano le due ore serali di canti e balli, non resisti alla noia.
In realtà per me è stato un confronto interessante.
Un confronto per capire Quale Africa si vuole.
Marilena Dolce
@EritreaLive
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