Papa Francesco e l’emorragia africana
di Joannes Bein
L’omelia di Papa Francesco a Lampedusa, inusitata e coraggiosa, ha fatto emergere come rare volte è accaduto da un pulpito così importante, la simbiosi antistorica e razzista che caratterizza il modo di pensare che in Occidente rappresenta artificiose differenze di tipo politico e culturale.
In seguito alla sua visita e alle parole espresse in quella sede non sono potuti mancare i commenti dei media.
Le parole di Papa Francesco «ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta per favore» sono state considerate da più parti, un naturale incipit, salvo però continuare a parlare del possibile ripetersi di morti in mare, per mancato soccorso, eventi peraltro già avvenuti.
Un’altra frase di Papa Francesco «chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io» non ha dato modo ai commentatori (di destra e di sinistra) di distinguersi; nessuno degli opposti schieramenti politico-culturali, ha ritenuto d’individuare le responsabilità. Tutti hanno lasciato intendere, sotto, sotto che la colpa del flusso migratorio fosse degli africani, incapaci di governarsi: razzismo puro, anche se non dichiarato.
L’omelia del papa, nel suo procedere, non ha concesso alcuna tregua all’esercizio del pensiero: «ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto». Alcuni hanno parlato di globalizzazione, con superficialità.
Ma aldilà di tutto, la frase dalla quale tutti i commentatori si sono tenuti alla larga è stata la seguente: «ti chiediamo perdono per coloro che, con le loro decisioni, a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi. Perdono Signore!».
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