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Oro per l’Eritrea

Marilena Dolce
14/12/13
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DI AMAN ABRAHA, DIARIO DI UN ERITREO

Coppa d’Africa 2013, l’Eritrea al vertice nelle gare di ciclismo, un’occasione per parlare con orgoglio di uno sport molto amato, della sua storia, delle sue radici 

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Asmara, festeggiamenti per le vittorie 2013

Nei giorni scorsi l’Eritrea si è laureata campionessa d’Africa per la quarta volta, aggiudicandosi tutti e tre gli ori in palio! Innanzitutto l’oro nella cronometro a squadre, poi l’oro nella cronometro individuale (Daniel Teklehaimanot), infine l’oro nella corsa in linea con Isaak Tesfom Okubamariam che si è aggiudicato anche il titolo U23 africano.

In Eritrea il ciclismo è lo sport nazionale per eccellenza. Una passione arrivata con i coloni italiani.

All’inizio è uno sport esclusivo, appannaggio degli italiani che non permettono agli eritrei l’uso della  bicicletta. Durante gli anni di segregazionismo agli “indigeni” è addirittura proibito entrare in centro città, appositamente recintato, figurarsi competere, gareggiare con la bicicletta…

La Chiesa Copta del resto non vedeva di buon occhio tale mezzo chiamandolo addirittura “carro del diavolo” quindi lo ostacolava.

Durante l’amministrazione inglese le cose cambiano e le gare di ciclismo si aprono ai nativi.

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Eritrea, immagine d’epoca del “Giro”

Le classiche in linea riportate dai giornali dell’epoca sono: Asmara – Decamerè – Afelbà, Asmara – Sciketi – Asmara,  Asmara – Adi Tekelesan – Asmara, sulla strada per Keren. Poi si fa il giro della Piana di A’la. Partenza da Asmara, giù a Nefasit poi Mai Habar, Decamerè e Asmara. Durante i cosiddetti “anni difficili degli shifta”, le classiche sono interrotte per sicurezza e quindi il giro si compie all’interno della capitale.  Il primo campione “indigeno”, osannato da tutti i compatrioti, riportato dalle cronache del tempo con il soprannome dato dagli  stessi coloni è  “Berberé”, peperoncino.

Nella mia infanzia c’è un altro grande ciclista di cui, pur non conoscendo il volto, ricordo benissimo il nome, Carmelo Salimbeni, “Caramello” come lo chiamavamo. Lui arrivò addirittura a partecipare alle Olimpiadi di Città del Messico, sotto bandiera etiope.

Chi ricordo bene invece è il compianto campione Yemane Tekeste, meglio conosciuto come “Ghebel”, pitone. Mai soprannome fu più azzeccato.

Uno scatto che lasciava tutti indietro, a mangiare polvere. Era un ragazzo di campagna, notato casualmente da un altro corridore, Zeregabir che lo porta in città per gareggiare.

Ghebel diventa subito protagonista, un vero campione, capitano della squadra etiope gareggia in Unione Sovietica con risultati encomiabili.

Ho bei ricordi di lui, non solo perché giocavo spesso a calcio con suo figlio ma anche perché abitavamo nello stesso quartiere, vicino alla Vecchia Fabbrica di Porcellana, 50 metri in linea d’aria gli uni dagli altri. Impossibile non tifare per lui contro l’Adulis, squadra avversaria

Ghebel nel 1990 si salva miracolosamente da una bomba che colpisce la sua casa mentre lui è fuori. Corre con la maglia nazionale dell’Eritrea libera, sempre come capitano, purtroppo anche su un campione come lui ha la meglio una complicazione al cuore. Muore in Sudan durante una gara, rappresentando la nazione, dopo aver come sempre distanziato gli altri corridori.

La corsa delle biciclette era e rimane un evento in Eritrea.

Noi bambini vivevamo in trepida attesa la domenica; la mia infanzia, come quella della maggior parte degli asmarini, era costellata dalle immagini di questi miti.

Quando vedevo le sbarre che circondavano il circuito del Monopolio ero felice perché voleva dire che la gara sarebbe stata vicina a casa. Avrei potuto uscire, far colazione e tornare per godermi lo spettacolo.

Il programma della giornata prevedeva sveglia all’alba, per essere già  all’interno del circuito ed evitare di pagare il biglietto.

Quando arrivavano gli addetti della sicurezza che erano sempre soldati, si entrava dentro casa di qualcuno oppure si saliva su un albero, per poi scendere solo a gara cominciata.

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Asmara, posti in “tribuna” per giovani tifosi

I ritardatari, senza soldi, cercavano di eludere il posto di blocco con una corsa da centometristi per non essere acciuffati dalle guardie.

Personalmente ero tifoso di Yonas “Halabay” Zekarias, “colui che munge”, così soprannominato perché la sua famiglia aveva una stalla. È stato uno dei più grandi velocisti della storia ciclistica eritrea. Il suo antagonista per eccellenza è stato Desalegn Negash. Sfide degne dei migliori Coppi vs Bartali.

Nel mio ricordo questi sono stati i migliori anni dell’Eritrea, dove una finale arrivava a ospitare fino a 40.000 paganti.

La volata era lo spettacolo più atteso e per goderselo bisognava stare in spalla al compagno o,se c’era spazio, sopra un albero. Il vincitore, osannato, era portato in spalla dai tifosi, e per tutta una settimana si viveva dello sfottò  alla squadra perdente.

Questi atleti hanno fatto sognare generazioni di eritrei e  le soddisfazioni di oggi sono anche merito loro, forse però non hanno avuto quanto hanno dato.

Se solo noi eritrei conoscessimo e rivalutassimo la nostra storia, non avremmo lasciato nell’oblio “Berberé” il nostro Jesse Owens. Se solo sapessimo raccontare la nostra storia avremmo lodato le gesta di Ghebel, come nel film “the Champ” di Zeffirelli.  Se solo non avessimo dimenticato la cultura dei nostri padri avremmo cantato “aulo” per Halabay.

Ho preso tre nomi a caso, ma la storia del ciclismo eritreo meriterebbe una saga. In attesa di tempi migliori, questo articolo è un mio piccolo ringraziamento per coloro i che nei  tempi bui della nostra storia ci regalano  un sorriso.

Grazie ragazzi.

Marilena Dolce

Marilena Dolce, giornalista. Da più di dieci anni viaggio verso il Corno d'Africa e da altrettanti scrivo ciò che vedo. Soprattutto per Eritrea ed Etiopia ma non solo. Dal 2012 scrivo per EritreaLive, notizie e racconti in diretta dall'Eritrea. Perchè per capire il mondo bisogna uscire dal proprio quartiere, anche solo leggendo.

7 risposte a “Oro per l’Eritrea”

  1. hiskiel w.gebriel ha detto:

    aman veramente sei un grande narratore. il modo che hai scritto mi hai fatto tornare indietro e mi sembrava di sognare profondo. Prima o poi un libro lo lo devi scrivere, prometti?

  2. Belul ha detto:

    Concordo con Hiskiel.

  3. ivan arginelli ha detto:

    Nel 1970-71 con la mia esperienza e vs. operai e capitali, ho reso l’Eritrea indipendente dall’importazione estera di piastrelle, ampliando la fabbrica di porcellana.
    Con dolore vedo tanti bei giovani , possibili figli di quei bravi operai ( Andom, Abraha,Gebrechristos ecc) rischiare la vita con gli schiftà del deserto e non capisco il perché. La loro terra gestendo l’acqua piovana come stanno facendo, è generosa, le miniere sono dappertutto, oro, rame, nitrati ecc. e quanto ad abilità le genti eritree tutte (aldilà delle etnie tribali e superate dai tempi) sono a dir poco stupefacenti. Quindi su la testa e lottate come avete fatto per anni fino al successo, Qui ora abbiamo gli stessi problemi che ho cercato di sfuggire quarantanni fa ca come ora fanno questi ragazzi e scappando non ho risolto nulla come loro adesso.

    • Iosief Abraha ha detto:

      Grazie Sig. Ivan. Mi sono sempre chiesto di chi fosse quella fabbrica della quale ho sentito la sirena puntuale a mezzogiorno tutti i giorni feriali per almeno 15 anni. Mi piaceva fare il giro intorno per mirare e toccare quelle splendide piastrelle che coprivano le pareti.
      Da scrivere un giorno negli annali…
      Grazie ancora

  4. Antonio Manca ha detto:

    Ho avuto la fortuna di lavorare per 5 anni nella scuola elementare italiana di Asmara. Non ho difficoltà ad affermare che sono stati tra gli anni più belli della mia vita. Purtroppo ho visto da vicino il dramma della diaspora a cui sono costretti tanti eritrei che meriterebbero di vivere degnamente e serenamente in un Paese meraviglioso. Potrei scrivere per ore di questa terra e della sua gente, ma mi limiterò solo a sfatare il mito di un Africa elemosinante, piena di malattie contagiose e di gente che aspetta solo la manna dal cielo per sopravvivere. L’Eritrea è un Paese ricco di risorse e di gente laboriosa e creativa, vittima solo di una spietata dittatura che nega il futuro alla propria gente. Vorrei solo chiedere ai fratelli eritrei di non abbandonare la loro terra per cercare la felicità in altri paesi. La libertà ha dei costi molto elevati, non abbiate paura di cercare per voi e per i vostri figli un futuro migliore che non passa certo attraverso la diaspora.

  5. Filmon Abraham ha detto:

    I literally had goosebumps while reading this article. You got me daydreaming all the races I’ve been through starting from the junior level (Nay neashtu) to the mid (nay maekelot) and pro’s (nay Abeyti). Waking up early in the morning to get there for the best spot……hoping to be near the finish line to cheer up with the winner (I was a big fan of Yemane Tekeste aka Ghebel, I still remember even the bicycle he was racing with, a silver battistini). Then we use to have even long conversation including arguments bout it, the entire week. Ohhh my days, AMANNNNNNNN!!!!

  6. Iosief Abraha ha detto:

    Bravo Aman.
    E’ ora che incominci a scrivere. Un talento da non sprecare…
    Complimenti

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