L’Eritrea sostiene il governo somalo
1993: dopo trent’anni di dura lotta per liberarsi dall’ultimo colonialismo, quello etiope di Menghistu, l’Eritrea è indipendente.
Negli stessi anni, la Somalia, dopo Siad Barre, entra in una pericolosa spirale d’instabilità politica e sociale. Nel 1992 gli Usa, con una risoluzione Onu presso il Consiglio di Sicurezza, inviano caschi blu (circa 3000) per l’operazione UNOSOM, (United Nations Operations Somalia) per assicurare alla Somalia aiuti umanitari e controllare, a Mogadiscio, il cessate il fuoco tra le diverse fazioni.
Il 9 dicembre 1992, con la missione Restore Hope, gli americani sbarcano a Mogadiscio, riuscendo però a controllarne solo alcuni quartieri e inimicandosi la popolazione provata dalla crisi economica e dagli interventi stranieri. Tre anni dopo abbandoneranno la Somalia in un clima di violenze e saccheggi.
Divisa e frammentata, (Mogadiscio, Puntland, Somaliland) la Somalia è inserita dagli Usa, per la presenza di gruppi islamici fondamentalisti, nella black list. In quegli anni obiettivo americano nella regione è condurre una lotta al terrorismo con tutti i mezzi, civili e militari. La politica del dual track procura l’appoggio a Mogadiscio e alle aree considerate “stabili”, Somaliland e Puntland.
Per opporsi ai molti Governi di Transizione imposti dall’esterno, nasce a Mogadiscio l’Unione delle Corti Islamiche, UCI. Intanto entra nello scenario somalo un nuovo attore, l’Etiopia, che assume, nei confronti dell’Occidente, il ruolo di baluardo al terrorismo.
L’Etiopia accuserà l’Eritrea, diventata nemica dopo il conflitto per il territorio di Badme (1998-2000) di appoggiare e armare il fondamentalismo somalo in funzione anti etiope, riuscendo così a isolarla politicamente dall’Europa e, soprattutto, dall’America.
Le Corti Islamiche non rappresentavano un’organizzazione religiosa estremista, anzi in quel momento erano un’organizzazione politica in grado di proporre un senso di nazione. Il 25 dicembre 2006, l’entrata dell’Etiopia a Mogadiscio costringe il vertice delle Corti Islamiche alla fuga, prima in Yemen poi ad Asmara dove organizzano l’ARS (Alleanza per la Re-liberazione della Somalia) per difendere il paese dagli attacchi esterni.
Negli anni 2006-2009 il postulato americano è isolare le organizzazioni islamiche, considerate, senza distinzioni, filo al Qaida. Anche gli osservatori del Gruppo di Monitoraggio che hanno il compito di riferire al Consiglio di Sicurezza sul rispetto dell’embargo armi e sulla situazione generale somala legata al terrorismo di Al Qaida riferiscono osservazioni assai dubbie: la presenza in Libano di un battaglione di circa 700 uomini appartenenti al movimento somalo Al Shabab per combattere a fianco di Hezbollah. Il gruppo di Monitoraggio dell’ONU gioca un ruolo importante nel costruire le basi necessarie dell’intervento armato in Etiopia e molti dei rapporti prodotti testimoniano come lo stesso sistema delle Nazioni Unite tenda spesso ad assumere atteggiamenti funzionali a specifici interessi regionali.
La lunga citazione è tratta da “Il Corno d’Africa, Eritrea, Etiopia, Somalia” di Matteo Guglielmo.
In realtà l’Eritrea, pur bersagliata ancora oggi dall’ultimo rapporto del Gruppo di Monitoraggio Eritrea-Somalia, (12 luglio 2013) ha sempre negato di aver aiutato gruppi estremisti islamici (al Shabab) sostenendo, però, il diritto della Somalia all’autodeterminazione. In questo senso va inteso l’odierno riconoscimento, da parte dell’Eritrea, di Hassan Sheikh Mohamed, primo presidente eletto dal Paese. Questa situazione apre nuovamente un dialogo tra Eritrea e Somalia, perché l’Eritrea intende sostenere la Somalia nel suo processo di ricostruzione nazionale.
In un’intervista rilasciata lo scorso luglio a VOA (Voice of America) l’inviato dell’Eritrea presso le Nazioni Unite, Ambasciatore Araya Desta, ha dichiarato che «l’Eritrea ora supporta il governo della Somalia per la stabilità del Paese».
L’Eritrea non aveva riconosciuto i precedenti governi di transizione perché li riteneva dominati da una profonda conflittualità interna, dall’incapacità di garantire solide istituzioni, da una sostanziale estraneità al popolo somalo, non per sostenere frange fondamentaliste lontane dalla mentalità laica e rispettosa di tutte le religioni che sta alla base della nazione eritrea.
Oggi il dialogo con il governo somalo, interrotto quando non rappresentava più la sua stessa gente, riprende per contribuire alla stabilità di una parte del Corno d’Africa che da troppo tempo ha perso la pace.
Marilena Dolce
@EritreaLive
Articolo graditissimo per mille motivi (veridicita’, esposizione, ecc.). Grazie!