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L’Eritrea ricorda la liberazione di Massawa con l’operazione Fenkil

Marilena Dolce
08/02/25
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L’Eritrea ricorda la liberazione di Massawa con l’operazione Fenkil

Sono tre giornate, dall’8 al 10 febbraio del 1990, che gli eritrei in patria e nel mondo, ricordano ogni anno per celebrare l’anniversario dell’operazione Fenkil. Una battaglia per la liberazione di Massawa che si combatte lungo un fronte di duecento chilometri, sia via terra sia per mare.

Massawa i tre carri armati Commander, Giaguar e Tigre, War Memory Square.

Massawa i tre carri armati Commander, Giaguar e Tigre in War Memory Square.

Massawa geograficamente è il crocevia tra il Mediterraneo e le lunghe coste dell’Africa e dell’India. Un melting-pot per la presenza di commercianti che arrivano da ogni parte del mondo, portando con sé usi e tradizioni. Secondo porto per importanza dopo Adulis, finché è esistito, Massawa era la “perla del Mar Rosso”. Si dice che passeggiare tra i suoi suk fosse come passeggiare tra i versi di una poesia.

Qui inizia il colonialismo italiano che, nel 1885 ne fa la prima capitale dell’Eritrea. I nuovi edifici di costruzione italiana affiancano quelli esistenti, rispettandone l’architettura e completandone la bellezza. Come quella delle antiche costruzioni in calcare corallino, con portoni incisi e musharabie in legno, per schermare la luce del sole e far passare l’aria, in una città caldissima per gran parte dell’anno.

Oggi però chi arriva a Massawa vede per lo più ruderi, rovine e palazzi butterati dai fori dei proiettili. Lo sforzo è, conoscendone la storia, immaginarla com’era, con l’antica bellezza delle strade e degli edifici, come la banca d’Italia o il palazzo del pascià costruito nel 1872. Perché Massawa è una città che affascina.

Un fascino che risiede proprio nella forza della sua storia, anche recente.

Nel 1977 il Fronte Popolare di Liberazione Eritreo, in lotta dal 1961 contro l’annessione all’Etiopia, attacca la città presidiata dalle truppe di Menghistu Hailè Mariam, in quel momento alleato della Russia. Lo scontro è impari ma i guerriglieri del Fronte avanzano contro il nemico guadando l’acqua, camminando accorti, un passo dopo l’altro, con i fucili sopra la testa. A un certo punto però devono ritirarsi, colpiti dalle truppe russe ed etiopiche che avevano schierato carri armati, cacciabombardieri MIG, lanciarazzi, mitragliatrici, artiglieria e persino navi sovietiche per l’attacco dal mare.

Tredici anni più tardi la rivincita: nel 1990, il Fronte ci riprova utilizzando i motoscafi veloci, Fenkil, estirpazione, che saranno l’arma della vittoria.

In quel momento il Eplf, Fronte Popolare di Liberazione Eritrea, controlla gran parte del Paese, mancano la capitale Asmara e il porto di Massawa.

L’operazione Fenkil inizia via terra, con il primo carro armato catturato nel 1977, “Commander”, che apre la strada che collega la terra ferma al porto. I soldati che lo guidavano sapevano che il loro compito era fare da diversivo e che per questo avrebbero potuto morire.

Il fuoco etiope infatti arriva su di loro, ma i motoscafi intanto, in quarantottore, riprendono la città.

Oggi il turista che visita Massawa vede i tre carri armati, Commander, Giaguar e Tigre, simbolo di sacrificio e coraggio, in War Memory Square.

Dall’estero il mondo guardava incredulo il braccio di ferro tra combattenti eritrei ed esercito etiopico. Pochi credono che gli eritrei possano farcela. Invece la vittoria arriva e con essa la completa liberazione di Massawa.  Una sorpresa non solo per l’opinione pubblica internazionale, ma anche per il Derg e i suoi consulenti militari. Una vittoria che mette fine della presenza in Eritrea della Seconda Armata Rivoluzionaria etiopica.

Fenkil è stata un’operazione audace che ha attaccato il nemico con i piccoli motoscafi dotati di cannoni che affondano undici imbarcazioni e ne catturano tre.

Dopo la sconfitta l’esercito etiopico ripara a Ghinda. Ma per Menghistu la battaglia non può finire così. Quindi ordina di rispondere alla sconfitta con la vendetta, distruggendo dall’alto la città, le infrastrutture, colpendo ogni cosa con napalm e bombe a grappolo. Compresi civili, anziani e bambini. Il bombardamento prosegue per dieci giorni facendo centinaia di vittime. Non solo, mentre la popolazione cercava di riprendersi, gli aerei, dopo sei settimane, tornano in volo per un secondo massiccio bombardamento.

Massawa, antico porto sul Mar Rosso, costruita principalmente con fragili blocchi di corallo, è distrutta, completamente danneggiata. Gran parte della città resta in attesa di restauro, un’operazione molto costosa per le risorse eritree.

Nel 1950 Hannah Arendt tornata in Germania, paese da cui era scappata durante il nazismo perché ebrea, scrive un articolo in cui analizza l’orrore e la devastazione che ha davanti agli occhi. “In meno di sei anni la Germania commettendo crimini che nessuno avrebbe ritenuto possibili, ha distrutto la struttura morale del mondo occidentale, mentre i suoi conquistatori hanno ridotto in cenere le testimonianze visibili di più di mille anni di storia tedesca”.

Ancora una volta si osserva che rovina, cenere e devastazioni non sono tutte uguali. La Germania, come del resto l’Italia, hanno potuto ricostruire le proprie città bombardate durante il secondo conflitto mondiale, anche grazie all’aiuto dei vincitori. Il Piano Marshall era stato pensato proprio perché l’Europa non avesse un’endemica povertà al proprio interno.

Non accade così per Massawa che ancora oggi porta i segni dei crimini di guerra subiti, anche se è proprio l’eroica operazione Fenkil che condurrà i combattenti verso l’indipendenza, il 24 maggio 1991.

Marilena Dolce

Marilena Dolce, giornalista. Da più di dieci anni viaggio verso il Corno d'Africa e da altrettanti scrivo ciò che vedo. Soprattutto per Eritrea ed Etiopia ma non solo. Dal 2012 scrivo per EritreaLive, notizie e racconti in diretta dall'Eritrea. Perchè per capire il mondo bisogna uscire dal proprio quartiere, anche solo leggendo.

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