Le città sono il futuro dell’Africa
Le città sono il futuro dell’Africa.
Un’Africa sempre più popolata avrà bisogno di nuove città e di ingrandire quelle esistenti.
Attualmente la popolazione dell’Africa è di 1.2 miliardi di persone che raddoppierà nel 2050 arrivando a 2.5 miliardi.
Un quarto della popolazione del pianeta.
Con buona pace di chi in Occidente ha timore di questi numeri bisogna ricordare che è stata la tratta degli schiavi a decimare la popolazione africana riducendone drasticamente le cifre.
In questi anni in Africa stanno avvenendo rapidi cambiamenti. E un ruolo importante è affidato alle città. In un futuro ormai alle porte nelle città africane vivranno 570 milioni di persone che avranno bisogno di un’abitazione, lavoro e infrastrutture.
Per questo è sbagliato che l’Europa consideri l’Africa un problema. Un continente che produce migranti. Attualmente il pil dell’Africa (stime McKinsey) è di 500 miliardi di dollari che saranno 930 miliardi tra dieci anni.
Nelle città la popolazione aumenterà di 187 milioni e nei Paesi più ricchi famiglie e imprese spenderanno 5.600 miliardi. Una bella cifra. A tirare la volata la Nigeria dove il consumo pro capite in città come Abuja, Lagos, Port Harcourt sarà di 4.000 dollari l’anno.
Già oggi Il 60% della popolazione africana vive in città quasi sempre sul mare, questo perché il 45% del commercio internazionale avviene via nave.
Un altro dato interessante dei trasferimenti in città è che essa è il luogo del melting pot. Lingue, culture, etnie differenti si mescolano nei quartieri delle nuove città. Ecco perché la sfida africana sarà quella di creare città a misura d’uomo, non ghetti, slums, banlieue.
Non è l’aumento della popolazione in sé che può rendere più pericolose le città africane, piuttosto l’abbandono, la mancanza di progetti o di investimenti adeguati.
I giovani africani, come del resto quelli europei cercano nelle città il luogo dove realizzare i propri progetti di vita. Il vero pericolo è la mancanza di prospettive, la disoccupazione.
Le nuove città saranno il centro della globalizzazione. Centri nevralgici per cooperazione, partnership, sviluppo.
Non più un post colonialismo predatorio ma un lavoro comune, quello con l’Europa, per migliorarne lo sviluppo.
Di che cosa hanno bisogno le città africane per crescere? Energia, infrastrutture, trasporti. E poi piccola e media impresa. Campi nei quali anche l’Italia, finora assente, può fare molto.
Nei prossimi anni la crescita dall’Africa riguarderà soprattutto quattro settori: beni di consumo, risorse minerarie, agricoltura e infrastrutture.
C’è molto da fare. Per il momento il primato degli investimenti in Africa è della Cina che ha sorpassato gli Stati Uniti.
Se le nuove città non sono ancora un segno tangibile del benessere raggiunto, tuttavia i consumi dei suoi abitanti sono già cresciuti parecchio. Si è passati dai 214 miliardi di dollari del 1990 ai 766 miliardi del 2011.
Esempio interessante di questi nuovi consumi è la diffusione di cellulari. La telefonia mobile ha riempito il vuoto storico della carenza di linee per le telecomunicazioni.
Il prossimo gradino per il decollo delle città africane è l’energia.
Finora in molti paesi, per esempio l’Etiopia, nonostante l’aiuto internazionale, l’energia è stata costosa, con forniture poco affidabili e discontinue.
Stesso problema in Eritrea. Dove però la situazione è migliorata molto alla fine del 2017. La centrale di Hirgigo, infatti, ha aumentato del 60% la propria produzione di energia.
Del resto proprio l’Eritrea ha deciso di destinare allo sviluppo energetico gli aiuti, 200 milioni di euro in cinque anni, ricevuti dall’Unione Europea.
Colmare il gap energetico non sarà semplice, ma è possibile e necessario. Pensiamo che Pechino è passata da una produzione elettrica di 621 milioni kWh l’anno nel 1990 a 4.7 miliardi di kWh nel 2011. Mentre in Africa si è passati da 255 milioni di kWh a 488 milioni kWh, meno della sola Francia (557 milioni kWh).
Quale ruolo può avere l’Italia nello sviluppo dell’Africa? Per il momento persino nel Corno d’Africa dove si trovano i paesi con i quali ci sono state relazioni storiche, il ruolo italiano è stato modesto.
I paesi maggiormente presenti in Africa sub Sahariana sono gli Stati Uniti, la Cina, l’India, il Brasile, la Turchia, mentre per quanto riguarda l’Europa prima dell’Italia ci sono Francia, Germania e Inghilterra.
L’Italia post coloniale ha dimenticato la sua storia, senza rinsaldare il legame positivo con le ex colonie.
Ed è uno sbaglio perché sono molti gli ambiti in cui potrebbero operare le piccole e medie imprese italiane.
L’Italia, come la questione delle migrazioni ha ancora una volta dimostrato, è il paese europeo più vicino geograficamente all’Africa, perciò maggiormente coinvolto nel suo sviluppo.
Tuttavia anche con paesi, come l’Eritrea, con il quale c’è un buon rapporto, l’Italia mantiene relazioni istituzionali incostanti e contraddittorie.
Nonostante un’ambasciata e la presenza della più grande scuola italiana all’estero, nonostante un clima di amicizia tra italiani ed eritrei, a livello politico il dialogo dopo l’indipendenza (1991) del paese, si è spesso interrotto.
Interrompendo anche gli interventi in campo economico.
Qualche anno fa le relazioni Italia ed Eritrea con l’incontro ad Asmara tra il presidente Isaias Afwerki e Lapo Pistelli, allora vice ministri degli esteri, sembravano rinsaldarsi. Poi tutto si è fermato nuovamente.
Ed è un peccato perché un rapporto migliore avvantaggerebbe entrambi i paesi.
Marilena Dolce
@EritreaLive
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