21/12/2024
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L’accordo di Ankara non risolve tutti i problemi dell’Etiopia

Marilena Dolce
18/12/24
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 L’accordo di Ankara non risolve tutti i problemi dell’Etiopia

affarItaliani.it

 

Ankara colloqui di pace

Accordo di Ankara, il presidente Recep Tayyip Erdogan con il premier etiopico Abiy Ahmed e il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud, per i colloqui di pace .

L’accodo di Ankara tra Etiopia e Somalia, per lo sbocco al mare richiesto da Addis Abeba, risolve un problema che, seppure importante, ne lascia aperti molti altri. Continuano gli scontri armati tra il governo e la regione Amhara. Ad essi si sono aggiunte vessazioni e ruberie nei campi a scapito dei profughi sudanesi e gli arresti ingiustificati degli eritrei che vivono nel Paese.

Qualche giorno fa, l’11 dicembre, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, ha annunciato il raggiungimento di un accordo tra Etiopia e Somalia.

Al  centro la concessione di un accesso al mare per Addis Abeba. Erdogan in conferenza stampa ha definito “storico” l’accordo di Ankara. La sua mediazione segna “un nuovo inizio nelle relazioni tra Addis Abeba e Mogadiscio, basato sulla pace e la cooperazione”. Le parti hanno concordato “un accesso al mare affidabile, sicuro e sostenibile sotto la sovranità della Repubblica Federale Somala”, senza tuttavia la presenza di basi militari, come richiesto inizialmente dall’Etiopia. Il dialogo continuerà a febbraio per mettere in atto quanto stabilito in linea di principio.

Subito dopo il raggiungimento dell’accordo, il portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, ha pubblicato una dichiarazione di soddisfazione e apprezzamento per la buona riuscita della mediazione del presidente Erdogan che, riunendo i leader somalo ed etiopico, ha convinto il premier Abiy a rispettare la sovranità territoriale della Somalia, accantonando l’intesa dello scorso gennaio con la provincia autonoma di Somaliland.

L’accordo di Ankara è una buona notizia per la regione del Corno d’Africa. Secondo gli osservatori internazionali è il segnale d’arresto delle mire espansionistiche etiopiche, pronte a raggiungere l’obiettivo dello sbocco sul mare anche con la forza. È merito della mediazione del presidente turco che tutela anche i propri interessi nell’area, se il premier Abiy ha accettato l’accordo senza sentire il sapore della sconfitta.

L’Etiopia in questo modo ha raggiunto l’accesso al mare per fini commerciali, non militari come inizialmente richiesto. Ora entrambi i paesi, Etiopia e Somalia, dovranno impegnarsi al proprio interno per risolvere i molti conflitti ancora aperti.

E, sotto questo profilo, all’Etiopia i problemi non mancano. Oltre al sanguinoso scontro con la popolazione di etnia amhara iniziato nel 2023 e che prosegue nel sangue, nelle ultime settimane le organizzazioni per i diritti umani hanno denunciato la caccia in atto contro i cittadini eritrei.

Da varie testimonianze raccolte in loco risulta che, per gli eritrei che vivono in Etiopia, soprattutto nella capitale Addis Abeba, è un brutto periodo. Alcuni di loro, chiedendo di rimanere anonimi per ovvi motivi di sicurezza, hanno denunciato alla BBC i soprusi subiti da parte delle forze dell’ordine etiopiche, culminanti spesso in fermi e detenzioni arbitrarie. Si parla non di casi ma di centinaia di persone arrestate soprattutto nella capitale ma anche altrove.

Di tali accadimenti per il momento la stampa interna non parla, il governo nemmeno e la polizia etiopica non ha risposto alle domande della BBC. La Commissione Etiopica per i Diritti Umani, Ethiopian Human Rights Commission, invece ha promesso di avviare un’indagine sulle accuse degli eritrei.

Un testimone ci ha riferito dell’arresto ad Addis Abeba perché in un bar i vicini di tavolo che l’hanno sentito parlare in tigrino, lingua ufficiale eritrea parlata anche in Tigray, hanno chiamato le forze dell’ordine. Un altro testimone ha raccontato che la sorella è stata arrestata mentre faceva spese in un negozio, solo perché eritrea.

In sostanza in questo momento per gli eritrei vivere in Etiopia è molto pericoloso. La violenta campagna di arresti che li coinvolge, dicono alcuni di loro, ricorda le epurazioni seguite all’inizio del conflitto con l’Eritrea, nel 1998.

Alcuni testimoni riferiscono che per uscire di prigione o per evitare che il fermo si concluda con l’arresto, bisogna pagare sottobanco, nella speranza di non incorrere in altri pericoli e di poter abbandonare in fretta il Paese.

Ma anche abbandonare il paese è diventato un problema. Per poter partire dall’Etiopia gli eritrei sono obbligati a presentarsi prima dell’imbarco presso l’ufficio immigrazione. Questo per verificare la data d’ingresso registrata sul loro passaporto e quindi calcolare la somma da pagare come tassa di soggiorno, un balzello appena introdotto. Per molti eritrei arrivati in Etiopia nel 2019, con l’apertura delle frontiere tra i due paesi, la cifra per tale tassa, il cui costo, passati i primi tre mesi gratuiti, è giornaliero, diventa esorbitante, difficilissima da saldare. Perciò l’ufficio immigrazione ritira il passaporto rendendo impossibile la partenza. Va detto che qualche giorno fa l’Ethiopian Immigration Service, ha risposto a queste accuse definendole “infondate” e negando qualsiasi tipo di vessazione nei confronti degli eritrei.

Secondo dati ufficiali gli eritrei presenti in Etiopia sono circa 165.450, meno rispetto a sud sudanesi, 416.308 e somali, 276.412. Molti degli eritrei che oggi vivono in Etiopia sono arrivati dopo la pace. Sono giovani con buone competenze e una scolarizzazione che ha permesso loro di trovare lavoro e intraprendere con successo attività economiche. Un’altra condizione critica è quella che stanno vivendo i moltissimi sudanesi in fuga dalla guerra interna scoppiata nel 2023 tra le Forze Armate e le Forze di Supporto Rapido. I profughi sudanesi sono minacciati e derubati nei nuovi campi allestiti nella regione Amhara dopo la distruzione di quelli in Tigray.

Il problema è che dal 2018 ad oggi la situazione interna in Etiopia è cambiata in peggio, tra scontri etnici, crisi economica e instabilità politica. E a farne le spese sono, di volta in volta, i diversi gruppi, come ora sta succedendo agli eritrei. Sono lontani gli anni degli abbracci e delle strette di mano tra il premier Abiy Ahmed e il presidente eritreo Isaias Afwerki.

Quando il nuovo governo di Abiy è stato attaccato dal Tplf, Tigray People’s Liberation Front, ex partito al potere, si è salvato grazie al sostegno degli eritrei che ne hanno garantito la sopravvivenza. Un fatto ora dimenticato, come la promessa solenne espressa allora con parole altisonanti di ringraziamento per “il sacrificio fatto dal popolo e dal governo eritreo per salvare l’integrità dell’Etiopia, sacrificio che non sarà mai dimenticato, anche dalle generazioni a venire perché l’Etiopia avrà un debito con l’Eritrea che non potrà mai ripagare”, dissero.

Ora, prendendo atto del cambiamento della politica dell’Etiopia verso la Somalia, non resta che augurarsi che si modifichi in meglio anche il suo atteggiamento nei confronti di eritrei e sudanesi, per mostrare nei fatti quello che tante volte è stato detto con le parole, cioè che le differenze tra popoli e governi dovrebbero convergere in un dialogo comune, per il bene di tutti.

Marilena Dolce

Marilena Dolce, giornalista. Da più di dieci anni viaggio verso il Corno d'Africa e da altrettanti scrivo ciò che vedo. Soprattutto per Eritrea ed Etiopia ma non solo. Dal 2012 scrivo per EritreaLive, notizie e racconti in diretta dall'Eritrea. Perchè per capire il mondo bisogna uscire dal proprio quartiere, anche solo leggendo.

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