In Italia la Conferenza europea dei giovani eritrei della diaspora
28 marzo – 1 aprile 600 giovani eritrei sono arrivati in Italia da dodici paesi europei per partecipare alla conferenza
L’Eritrea non è più un paese isolato. Recentemente il presidente Isaias Afwerki è stato in Italia, per partecipare a Roma alla conferenza Italia-Africa e discutere sull’avvio del piano Mattei, progetti d’investimento in molti paesi africani, tra i quali l’Eritrea.
Nei giorni scorsi è arrivata a Massawa una delegazione della marina russa a bordo della fregata Shaposhnikov, per incontri successivi al forum di San Pietroburgo dello scorso luglio.
Poco dopo è giunto ad Asmara l’Ambasciatore Plenipotenziario cinese, Xue Bing, ricevuto dal presidente Isaias che parteciperà a settembre, a Pechino, al vertice FOCAC, (Forum on China-Africa Cooperation).
Il 17 marzo era invece atterrato all’aeroporto della capitale il presidente somalo, Hassan Sheikh Mohamud, per una visita di Stato.
Quasi nello stesso periodo di tempo, la diaspora eritrea si ritrovava in Italia per discutere del Paese, del suo futuro.
Mai come in questo momento vale la considerazione di Federico Rampini sul successo delle diaspore, “dagli immigrati africani vengono segnali sorprendenti: hanno livelli di apprendimento e successo accademico tra i più elevati…una realtà sottaciuta, minimizzata o semplicemente censurata per motivi ideologici…perché contraddice l’idea dell’afro pessimismo”, un’idea per cui nessun paese africano, men che meno l’Eritrea, può essere fonte di notizie positive.
Già perché sull’Africa ai media “non interessano le buone notizie, né tutto ciò che può dare un’idea di normalità, che può spiegare perché un miliardo di persone continuano a viverci, desiderando di rimanerci, non certo di scappare”.
Sulla linea delle buone notizie è invece la conferenza dei giovani eritrei, organizzata in Italia dal 28 marzo al primo aprile. Per l’occasione da dodici paesi europei sono arrivate circa seicento persone, per lo più giovani e giovanissimi, ma anche molte famiglie. Parole chiave dell’euro-conferenza di quest’anno sono state, coesione, solidarietà, identità, progresso.
“Il tema era sull’identità, la coesione, il progresso, la storia passata e il futuro. Gli interventi dei ragazzi sono stati tutti molto interessanti”, spiega Doris Tekle, una delle delle collaboratrici dei lavori per la conferenza YPFDJ (Young People’s Front for Democracy and Justice, l’organizzazione dei giovani eritrei della diaspora).
I ragazzi sono arrivati soprattutto dai paesi europei, non dall’Eritrea e neppure da altri paesi africani, pochi anche da America e Canada. È stata una conferenza europea. La maggior parte di loro arrivava dalla Svezia, molti anche dall’Olanda, dalla Francia, dall’Inghilterra. Sono ragazzi nati in Europa, seconde o terze generazioni, il cui senso di appartenenza e nazionalismo deriva dalle famiglie, dai genitori che sono scappati dall’Eritrea negli anni Settanta (ndr, quando il Paese era annesso all’Etiopia). Io stessa ho lasciato l’Eritrea da piccolina. Non credevo alla possibilità che il paese potesse farcela e diventare indipendente. Pensavo fossimo il classico topolino contro l’elefante. Invece ce l’abbiamo fatta. (ndr, l’Eritrea diventa indipendente il 24 maggio 1991). Andare tutti gli anni a Bologna, che allora era la città di ritrovo della diaspora, mi ha consentito di conoscere tanti eritrei, solidarizzare, avere cose in comune, oltre alla politica. È stata una grande famiglia”.
In che lingua si parlano tra loro i ragazzi eritrei nati in Europa, in inglese? “No”, risponde Doris, “parlano nella nostra lingua, in tigrigna. Durante i tre giorni della conferenza la presenza è stata soprattutto quella dei giovani, la domenica però, sono arrivati anche molti genitori. Quest’anno in chiusura eravamo seicentocinquanta…I genitori vengono per ritrovarsi con i figli, per ballare, cantare, mangiare insieme a loro, stare con gli amici. È una festa molto bella”.
Chiedo a Nighisti Zeggai, presidentessa donne eritree in Europa, se le ragazze eritree di oggi hanno la forza combattiva delle loro madri. “Si”, mi risponde “sono molto forti, inoltre hanno il vantaggio della preparazione culturale, perché hanno studiato, sono istruite e molto determinate”. In Eritrea subito dopo l’indipendenza c’erano solo 526 scuole, diventate 1.853 nel 2013 e 2.372 nel 2023. Oggi ragazze e ragazzi hanno pari opportunità, la scuola dell’obbligo è gratuita e chi ha merito e capacità è sostenuto economicamente fino alla laurea.
“Noi adulti, prosegue Nighisti, ci siamo ripromessi di preparare il passaggio del testimone ai più giovani. Saranno loro ad essere responsabili in futuro, quindi devono prepararsi, iniziando dalla conoscenza della lotta per l’indipendenza, dai motivi che l’hanno resa necessaria. Perché questi sono i nostri ideali. È l’eredità dei patrioti, dei tegadelti, per le future generazioni. Va anche detto che i giovani eritrei hanno un alto spirito patriottico, sono più grandi della loro età anagrafica. C’è una parola, hidri, che significa proprio questo: eredità in senso spirituale, per il passaggio di consegne da noi adulti verso i più giovani. Quello che deve sempre prevalere è il senso di unità: siamo nove etnie, due religioni, sei zone ma un unico popolo. Questo è il significato della solidarietà e della coesione”.
Poi Nighisti mi racconta un aneddoto proprio sulla presenza dei più piccoli. Tanti bambini felici che cercano di capirsi ma non conoscono la lingua madre tigrigna. Così si ripromettono per l’anno prossimo di arrivare preparati, di iniziare a studiarla, per non fare brutta figura, per non dover usare l’inglese come lingua comune…
Alla conferenza sono presenti anche alcuni amici italiani, tra i quali lo scrittore Filippo Bovo.
“Sono rimasto colpito dalla storia interpretata sul palco da alcuni ragazzi”, dice, “nove giovani eritrei che difendono la pianta, che simboleggia il Paese. La proteggono da un gruppo che vuole prenderla e che, per farlo, pensa che il modo migliore sia seminare zizzania tra loro che rappresentano le differenti etnie”. A vincere però è la coesione, tema della conferenza”. “Per questo motivo”, spiega, “durante il mio intervento mi sono riallacciato alla pièce. È il buon giardiniere che cura la pianta. E in Eritrea il lavoro del giardiniere sta funzionando.”.
Anche il discorso d’apertura della conferenza, tenuto dell’ambasciatore eritreo in Italia, Fessahazion Pietros, ha toccato il ruolo dei giovani e l’importanza del loro impegno nel prossimo futuro per garantire al Paese che le scelte dei patrioti che hanno combattuto per l’indipendenza dell’Eritrea, rimangano forti.
cara dr. ssa Marilena complimenti per i tuoi veritieri articoli, documentari documenti storici e tanti foto.
Un grazio di cuore ❤
Mi piace della Dott. ssa Marilena Dolce, quando dice scrivo cio’ che vedo. Belle parole cosi deve fare un giornalista. grazie dottoressa Marilena.
Grazie!