Con diverse attività i giovani eritreilo scorso maggio hanno presentato il proprio paese a Roma, in occasione del decimo anniversario dell’associazione culturale “QuestaèRoma”.
Quello appena trascorso è stato un maggio eritreo, soprattutto a Roma.
Oltre a festeggiare l’indipendenza del Paese, i giovani eritrei hanno accettato l’invito della città di presentare e promuovere la conoscenza della propria cultura attraverso la tradizione.
Così sono stati raccontati e preparati il caffè con il classico rito e il meadi, piatto per pranzare insieme, diventato per l’occasione un AperiMeadi.
Grandissimo successo.
In Italia la presenza della comunità eritrea risale agli anni Sessanta e, soprattutto, Settanta.
Allora moltissimi eritrei sono emigrati dal loro paese per sfuggire a una vita diventata impossibile, sia sotto l’imperatore Hailè Selassie sia, peggio ancora, sotto il regime di Menghistu Hailè Mariam. Scappavano con l’obiettivo di sostenere dall’estero la lotta per l’indipendenza in patria. Per fare questo era necessario integrarsi nei Paesi d’arrivo e trovare lavoro. Cosa che hanno fatto.
Per tali motivi oggi nelle città italiane vivono molti di loro che, nel frattempo, hanno avuto figli e nipoti nati qua.
Quella eritrea è una comunità tranquilla, integrata, che molto spesso manda i figli all’Università, perché abbiano la formazione mancata ai nonni. Difficile quindi capire, per chi frequenta le feste conviviali eritree, il timore di “sostituzione etnica”.
Al contrario per le nostre società multi etniche e muticulturali l’obiettivo dovrebbe essere quello di capirsi e conoscersi, senza alzare muri per paura di “essere rimpiazzati”…
Per questo e per farsi conoscere meglio, i giovani eritrei romani hanno partecipato e promosso diversi eventi culturali per presentarsi alla città con le proprie tradizioni.
Iniziando dalla cucina, perché da lì parte la più semplice e autentica condivisione. Un detto milanese infatti stigmatizza che non siamo amici se non abbiamo mangiato insieme.
Così a Roma i giovani eritrei, in occasione del decimo anniversario dell’associazione culturale “QuestaèRoma” hanno spiegato come si fa il caffè tradizionale. Poi hanno invitato tutti coloro che volessero partecipare, presso Nakfa House, sede della Comunità Eritrea, per un “Aperi Meadi”, cioè un piatto, meadi appunto, fatto per la convivialità, per la condivisione. Un piatto su cui appoggiare l’injera, il tipico pane a base di teff, accompagnato da carne o verdure.
Perciò nelle due diverse occasioni c’è stato modo per chi vi ha partecipato di imparare tecniche e segreti per la preparazione di un ottimo caffè, come pure di piatti tipici della cucina eritrea. Due modi concreti per condividere tradizioni ma soprattutto per iniziare, o continuare, un dialogo fondamentale per la nostra società.
Forse per abbattere il timore del diverso non sarà sufficiente un piatto di zighinì con injera, seguito da un buon caffè, ma è comunque un ottimo inizio.
E a proposito di cultura eritrea, merita ricordare che per il rito di degustazione del caffè è importante avere una caffettiera apposta, la gebenà. Quindi si comincia offrendo all’ospite una tazza, auel. Poi se la conversazione prosegue, arriverà una seconda tazza, kala’ai, quindi una terza, dal nome emblematico, benedizione, breket per ringraziare la prosperità che rende possibile le molte tazzine, fnjal di caffè. Infine ci si immerge nel fumo della tostatura, per buoni auspici.
E quella dello scorso 27 maggio è stata proprio un’iniziativa di buon auspicio.
Marilena Dolce
Marilena Dolce, giornalista. Da più di dieci anni viaggio verso il Corno d'Africa e da altrettanti scrivo ciò che vedo. Soprattutto per Eritrea ed Etiopia ma non solo. Dal 2012 scrivo per EritreaLive, notizie e racconti in diretta dall'Eritrea. Perchè per capire il mondo bisogna uscire dal proprio quartiere, anche solo leggendo.
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