da AFFARITALIANI.IT
Asmara, 25 marzo arrivo del premier Abiy Ahmed
Etiopia, Tigrai, uno scontro che l’Occidente fatica a comprendere. Conflitto nel Tigrai: ritiro delle truppe eritree, aiuti umanitari e indagini indipendenti su potenziali crimini di guerra e identificazione dei veri responsabili. Questi i tre punti decisi a fine marzo dal premier Abiy Ahmed in accordo con le istituzioni internazionali.
L’Occidente fatica a comprendere lo scontro iniziato lo scorso novembre nella regione del Tigrai a nord dell’Etiopia. Una guerra trasformata ora in guerriglia tra il governo federale di Addis Abeba e le milizie del Tplf, che al momento sono rifugiate nelle aree rurali.
Per capire l’accaduto, bisogna destreggiarsi nell’incredibile quantità di fake news costruite più o meno maldestramente a beneficio della stampa internazionale.
La verità è che nelle situazioni di emergenza quali catastrofi naturali, disastri e anche guerre, la disinformazione viene spesso utilizzata come arma e le voci non confermate finiscono per trasformarsi in notizie screditando anche fonti solitamente affidabili. Il lavoro del giornalista dovrebbe essere quello di verificare i rapporti e le storie che vengono riportate.
Un esempio eclatante è il caso di Monna Liza, giovane donna tigrina presentata dalla stampa internazionale come vittima civile delle sevizie dei soldati eritrei. Il suo nome rinascimentale conquista in Italia il titolo di un quotidiano che chiede addirittura al premier Abiy Ahmed di restituire il Nobel per la Pace ricevuto nel 2019 perché ne sarebbe indegno, per la terribile amputazione inflitta a una ragazza innocente.
Un’attenta verifica permette di svelare però che Monna Liza è una combattente del Tplf, (Tigray People’s Liberation Front) e che, prima delle interviste e foto da lei rilasciate alla BBC e a Al Jazeera, dove afferma di essere stata vittima di stupri e sevizie, era stata contradetta dal proprio padre che rivelava a una televisione locale che la figlia era stata ferita durante l’assalto al Comando del Nord, perché combatteva accanto alle forze dell’Esercito di Liberazione del Tigrai. Ciò conferma che quella innescata dal Tplf è una guerra senza esclusione di colpi, caratterizzata da una campagna mediatica che fa leva sulle denunce di violazioni dei diritti umani per attirare la simpatia e il sostegno della comunità internazionale. Inoltre i miliziani sono coinvolti nel reclutamento di bambini-soldato e presunti testimoni di atti orribili perché li raccontino ai media per screditare quelli che sono considerati invasori.
Il premier Abiy Ahmed ha risposto agli atti di guerra e di destabilizzazione riprendendo il controllo militare del Tigrai e affermando che l’intervento dell’esercito federale aveva lo scopo di ristabilire pace e sicurezza nella regione, di combattere i terroristi miliziani del Tplf e di proteggere la popolazione civile. Dopo la riconquista del capoluogo Mekelle, l’obiettivo principale è stato perciò ricostruire le infrastrutture distrutte dalla guerra e sostenere la popolazione civile con adeguati aiuti alimentari, riportando ordine e legalità. L’esercito tigrino del Tplf, sconfitto militarmente, inizia però una guerriglia sulle montagne del Tigrai, ricorrendo anche a minacce e ricatti contro i cittadini che rischiano rappresaglie se non si arruolano per combattere il nemico federale.
“Il Tplf non può vincere perché non ha sbocco”, spiega una fonte diplomatica, che aggiunge, “non ricevono aiuti dal confine Nord del Tigrai, perché c’è l’Eritrea, neppure però a Sud. Sono circondati. In questa condizione non può reggere neppure la guerriglia”. Che possa diventare una guerriglia ad oltranza invece è quello che teme l’International Crisis Group che lo scrive nel report di questo mese, nel quale si legge che il Tplf è presente nelle aree rurali del Tigrai centrale e meridionale, mentre le truppe federali controllano le strade principali e le città.
Le truppe eritree, entrate nel Tigrai per proteggere il confine, scoperto dopo il ritiro delle truppe federali etiopiche, hanno iniziato a ritirarsi dopo l’ultima visita di Abiy Ahmed ad Asmara, che ha avuto lo scopo di dare garanzie all’Eritrea sulla protezione del confine con il Tigrai dopo il ritiro delle proprie truppe e di consolidare le relazioni tra i due Paesi. In quell’occasione, l’Eritrea ha ribadito la volontà di avviare rapporti di collaborazione stretti con il Tigrai e con la sua popolazione ma di ritenere il Tplf responsabile della crisi umanitaria in atto. Una serie di accordi nei settori delle telecomunicazioni, dello sviluppo delle energie rinnovabili e per la costruzione comune di infrastrutture civili che consentano all’Etiopia l’utilizzo dei porti di Massawa e Assab, ha permesso il rilancio degli accordi di cooperazione avviati negli ultimi due anni dal governo Abiy.
In risposta alle accuse delle organizzazioni internazionali contro l’esercito federale etiopico e contro l’esercito eritreo, il premier Abiy Ahmed e il presidente Isaias Afwerki hanno comunicato la necessità di una verifica seria e indipendente sui fatti realmente accaduti, dicendo di voler punire in maniera esemplare i responsabili, indipendentemente dalle loro origini e dalla loro identità. Tuttavia, secondo i due leader, l’Unione Europea non sta capendo gli sforzi dei rispettivi governi per combattere il Tplf, grave minaccia d’instabilità per tutto il Corno d’Africa. Hanno inoltre denunciato lo spazio dedicato dai media internazionali alla campagna di disinformazione condotta da quello che considerano un movimento terrorista che vuole la destabilizzazione in Etiopia e nel Corno d’Africa.
Sull’incontro di Asmara si esprime, con richiesta esplicita di anonimato, un alto funzionario Ue: “che Abiy sia andato adesso in Eritrea è un passo importante”, dice. “Innanzi tutto” prosegue “è stata l’occasione per ammettere la presenza di truppe eritree sul confine tra Eritrea e Tigrai. Inoltre, Abiy ha consentito l’accesso nel Tigrai non solo alle organizzazioni internazionali umanitarie, ma anche a chi potrà condurre un’indagine indipendente sui crimini di guerra”. In effetti un’indagine indipendente è necessaria, ma sarebbe importante che le parti in causa fossero coinvolte, per evitare pericolose strumentalizzazioni. Gli chiedo, quindi, di capire la posizione Ue sulla vicenda.
“Premetto” dice, “che la conoscenza che l’Occidente ha del Tigrai e dell’Eritrea è così superficiale che ogni tanto è difficile capire le decisioni che la Ue prende, anche per chi ne è all’interno”.
“Sulla situazione del Tigrai va sottolineato che è l’Etiopia ad aver chiesto all’Eritrea di intervenire e nell’incontro di fine marzo Abiy ha detto che i loro due paesi devono restare uniti”. Il 5 aprile, infatti, pochi giorni dopo l’incontro di Asmara, il Ministero degli Esteri etiopico, con un comunicato stampa, esprime la propria gratitudine per l’appoggio militare eritreo contro l’attacco del Tplf. “Mentre il mondo sembra aver frainteso gli sforzi dell’Etiopia per riportare nel Tigrai legge e ordine, il popolo eritreo e il suo governo hanno capito la situazione e ci hanno sostenuto”.
“L’Italia non può chiudere gli occhi”, chiede la comunità etiopica in Italia. Un appello che la diaspora etiopica in Italia vorrebbe che il nostro Paese portasse a Bruxelles.
Ma accadrà? Risponde il diplomatico Ue, “Certo l’Italia avrebbe potuto essere più presente nella questione del Tigrai. Però abbandonare il mainstream non è semplice…neppure l’Unione Europea l’ha fatto. Hanno detto invece che per fermare il massacro nel Tigrai, le parti, (ndr, Tplf e governo federale) avrebbero dovuto mettersi intorno a un tavolo per discutere. Senza capire che era come chiedere al governo di Madrid, attaccato militarmente dalla Catalogna, di sedersi al tavolo e trattare. Poi va anche detto che nella Ue ci sono molte persone che conoscono bene i vecchi rappresentanti del Tplf che erano al governo con Meles Zenawi (ndr, primo ministro etiopico, dal 1991 alla morte, 2012). Gente considerata l’intellighenzia del Paese da cui per tanti europei è difficile prendere le distanze”.
Gli chiedo cosa pensi delle accuse rivolte agli eritrei sulle violenze che avrebbero fatto contro i civili tigrini. “Per esperienza sono diffidente verso i rapporti internazionali. Tuttavia, in una guerra che ci siano orrori è purtroppo vero. Ho dubbi però che possano essere stati gli eritrei. Con la loro etica e con la disciplina militare che li caratterizza è difficile immaginare che si siano dati al saccheggio e allo stupro, come banditi sudanesi in Darfur. A questo racconto veramente non crede nessuno…”.
I motivi dell’intervento eritreo in Etiopia sono legati sia alla storia sia alla geografia dei due Paesi.
Quando negli anni Settanta i guerriglieri eritrei ed etiopici combattevano contro il feroce regime del colonnello Menghistu Hailè Mariam, era il Fronte Popolare di Liberazione Eritreo che andava nel Tigrai per lottare a fianco dei guerriglieri tigrini. Erano gli eritrei i soldati più forti. E del resto sono loro, gli eritrei del Fronte, ad entrare nel 1991 ad Addis Abeba per liberare la città e cacciare il governo di Menghistu.
“Anche stavolta”, spiega il mio interlocutore, “gli eritrei sono stati molto importanti nella lotta di Abiy contro il Tplf. Questa è una considerazione che fanno in molti all’interno della Ue. Inoltre, ricordiamo, è il Tplf ad aver cercato di allargare il conflitto sparando razzi su Asmara. Tutti da mesi sapevano che i tigrini si stavano preparando all’attacco, che stavano assembrando armi e truppe sul confine. Questo è anche uno dei motivi per cui la frontiera tra Tigrai ed Eritrea non era stata ancora aperta”.
Il prossimo 22 aprile il Ministro per gli Affari Esteri finlandese Pekka Havisto, riferirà all’Unione Europea l’esito del nuovo viaggio nel Tigrai. Una visita programmata per accertare la situazione degli aiuti umanitari, la condizione dei rifugiati interni, l’inizio del ritiro delle truppe eritree dal confine e per conoscere dall’EHRC (Etiopia Human Rights Commission) la situazione su violenze, abusi e crimini di guerra avvenuti in questi mesi, anche se una commissione indipendente che verifichi tutte le false testimonianze e le rappresentazioni organizzate e trasmesse dai miliziani del Tplf deve ancora essere istituita. Il conflitto provocato dal Tplf nel Tigrai, regione con circa sei milioni di abitanti, ha costretto decine di migliaia di persone ad abbandonare le proprie case spostandosi all’interno o nei campi profughi del vicino Sudan. L’intervento umanitario in atto nel paese sta portando cibo, acqua e medicine nelle zone più danneggiate. Il governo federale ha comunicato il rifornimento di derrate alimentari a circa 4.2 milioni di persone, mentre le organizzazioni internazionali affermano di aver portato aiuti a circa un milione di persone, per alleviare la grave crisi umanitaria in atto.
Nel frattempo il governo etiopico ha annunciato di aver avviato il ripristino delle infrastrutture, cominciando dagli aeroporti, la riattivazione della rete telefonica, di internet e dell’elettricità, che in alcuni villaggi è ancora intermittente. La situazione resta comunque critica. Già prima del conflitto nella regione c’era carenza di cibo, aggravata dalla peggiore invasione di locuste degli ultimi decenni. Ora il timore che vada persa la prossima stagione del raccolto, per il perdurare dell’instabilità, è forte.
L’Europa per evitare lo stallo dovrebbe favorire il ritorno alla normalità in Etiopia e nel Corno d’Africa, sostenendo la stabilizzazione di un’area che comprende 200 milioni di persone e smettendo di appoggiare e divulgare la narrativa del Tplf. Ricordando che non si tratta di un piccolo partito d’opposizione schiacciato dal governo centrale, ma della parte residua di quello che era un gruppo forte e spietato. Una minoranza al potere dal 1992 fino al 2018, che sta usando le ingenti risorse sottratte in quel periodo al Paese per finanziare campagne diffamatorie e screditare i governi della regione, come denunciato ripetutamente dal primo ministro Abiy Ahmed nelle audizioni del Parlamento federale etiopico .
@Marilena Dolce
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