Etiopia il Tplf attacca la regione Amhara
Etiopia, il Tplf attacca la regione Amhara, moltissimi i morti e centinaia gli sfollati
AFFARI ITALIANI “Nella regione Amhara, in Etiopia, è in corso una guerra di cui nessuno parla. Quello che sta succedendo è tragico. Il Tplf, Tigray People’s Liberation Front, o TDF, Tigray Defense Forces
come si chiama il braccio armato del partito, attacca e uccide i civili, senza risparmiare anziani e bambini. Si bruciano gli animali e le materie prime per impoverire ancor di più gli agricoltori, già provati dalla guerra scoppiata a novembre. È come se il Tplf stesse combattendo una battaglia medioevale, attaccando la popolazione più debole e indifesa, bombardando dall’alto delle montagne i villaggi”.
Così dice ad Affari Italiani una donna tigrina che mantiene l’anonimato, originaria di Gondar, stanca del silenzio sulla brutalità del conflitto che, dal Tigray, è arrivato nella regione Amhara.
“Sta succedendo il peggio”, continua la testimone, “Amhara è una grande regione dell’Etiopia centro settentrionale, impossibile da controllare completamente. I miliziani TDF per attaccare e non essere attaccati dall’esercito federale e dalle milizie Amhara hanno fatto barriere umane con donne e, soprattutto, bambini. Ne prendono tantissimi, anche cinquemila, seimila persone. Svuotano piccoli villaggi che non possono essere protetti perché l’esercito non può sparare contro i civili messi a fare da scudo. Un bambino è stato trovato dai nonni con addosso il sangue dei genitori, neanche trentenni, morti entrambi. Queste sono le notizie che arrivano dalle televisioni locali e dai parenti”.
In questi giorni è giunta anche la notizia degli eccidi nel villaggio di Chena, vicino alla città di Dabat. Qui sono stati uccisi almeno 120 civili, ma il numero, purtroppo, non è definitivo, molti non si trovano. Gli sfollati nella regione Amhara sono adesso oltre centomila. In rete arrivano le immagini delle tombe di Chena. Lunghe file di sassi e rami verdi, tombe per piangere le molte vittime civili della brutalità del Tplf.
Ma cosa sta accadendo in Etiopia dopo l’attacco del 4 novembre scorso al deposito di armi nazionale della Caserma Nord? Il Tigray People’s Liberation Front che rappresenta l’etnia minoritaria tigrina, rimasta al potere dal 1991 al 2018, non ha di fatto accettato il cessate il fuoco unilaterale, deciso dal governo per motivi umanitari. Una tregua che coincide con la stagione delle piogge, che terminerà a fine settembre.
Il timore espresso da molti analisti, era che proprio tale tregua potesse indurre il Tplf ad attaccare. E così è accaduto. Non verso Addis Abeba, come dichiarato dai leader del Fronte alla ripresa trionfalistica del capoluogo Mekellè, ma verso regioni limitrofe, quella Amhara e Afar.
Del resto l’attrito tra le due regioni, Tigray e Amhara ha radici storiche. Nel 1991, conquistato il potere, i tigrini annettono regioni precedentemente Amhara, come si può verificare dalle carte geografiche. Zone ricche, con una fiorente agricoltura, nelle quali le persone parlavano un’altra lingua rispetto al tigrino e avevano differenti tradizioni. Molti agricoltori e proprietari terrieri in quegli anni sono costretti a lasciare la regione. Ora, dopo l’aiuto militare fornito al governo centrale, gli Amhara hanno di fatto ripreso tali zone. Questa la premessa del violento scontro in corso, di cui si è scritto pochissimo.
Il Tplf con il cessate il fuoco, scrive nella sua analisi Doreen Nicoll, ha spostato le milizie, soprattutto i giovanissimi soldati-bambini, verso le regioni limitrofe al Tigray, quella Amhara e Afar. Se i federali avessero colpito sarebbero stati accusati dei massacri in corso.
Nei mesi scorsi, invece, i media occidentali, che sui soldati bambini reclutati dal Tplf non hanno speso molte parole, di questi ultimi pubblicano le denunce. Nel Tigray, dice il Tplf ai media, si combatte con le armi della fame e della violenza sulle donne. Non dicono, però, che loro a combattere ci mandano i bambini. Ragazzini presi per strada o portati via alle famiglie in cambio degli aiuti per la sopravvivenza, come scrive Doreen Nicoll.
In questa fase dello scontro la vecchia guardia tigrina ha un forte sostegno mediatico. Non è un mistero, inoltre, che all’amministrazione Biden non sia piaciuta l’alleanza tra il premier Abiy Ahmed e il presidente eritreo Isaias Afwerki, nonostante Abiy abbia ricevuto il premio Nobel proprio per aver firmato una pace con l’Eritrea restata in sospeso quasi vent’anni.
Il Tplf con l’assalto alla Caserma nazionale pensava ad una guerra lampo, che l’avrebbe riportato rapidamente dalle montagne del Tigray agli scranni di Addis Abeba. Imprevedibile però l’intervento dell’esercito eritreo che ha affiancato l’esercito federale e le truppe Amhara. In due settimane i soldati eritrei riprendono il controllo militare, presidiando il confine tra Eritrea e Tigray che resta di fatto isolato.
A questo punto la campagna, oltre che militare, diventa sempre più mediatica. Da novembre a marzo, della guerra in corso trapelano pochissime immagini. I giornalisti non sono ammessi, le agenzie umanitarie hanno ritirato il personale occidentale. Però, immediatamente, si scrive di crimini contro l’umanità e violenze contro le donne tigrine. A compiere tali atti e a progettare la peggiore carestia degli ultimi cinquant’anni, insieme alla fame come arma di guerra, sarebbero i soldati eritrei, i federali e le milizie Amhara. L’Occidente, che in realtà segue con distrazione il conflitto, pensa che nessun tigrino farebbe male alle proprie compaesane. Ma è così?
“Dopo il 28 giugno” spiega una fonte attendibile che parla con garanzia di anonimato, “il Tplf compie rappresaglie contro chi aveva collaborato con il governo. Ammazzano donne e bambini. Se la prendono addirittura con le donne del Tigray che, per sopravvivere, preparavano il tè per venderlo ai soldati di passaggio. Sono accusate di collaborazionismo. Per non dire delle decapitazione di amministratori tigrini non Tplf. Il governo cercava interlocutori ma chi ha accettato di collaborare ne ha pagato il prezzo con la vita” Però di questi crimini il Tplf non è stato accusato dalla comunità internazionale. Come mai?
“Se succede qualcosa in Tigray e la notizia è diffusa dal Tplf, i media internazionali la riprendono, altrimenti non interessa”, dice un’altra testimone tigrina che vive all’estero.
L’amministrazione Biden non ha riconosciuto la dichiarazione del parlamento etiopico secondo cui il Tplf è un’organizzazione terrorista. La linea politica americana resta quella che chiede al governo Abiy una riconciliazione con il Tplf. Una posizione politica che incoraggia la lotta del Tplf. Così scrive a fine luglio l’analista politico Lawrence Freeman.
Ma anche in America, sull’Etiopia, non tutti la pensano allo stesso modo. Una registrazione trapelata di recente mette in luce il diverso punto di vista sul conflitto tra agenzie americane in patria e i loro distaccamenti ad Addis Abeba.
Proprio sulla questione degli stupri, usati in Tigray come arma di guerra, le agenzie UN si interrogano per stabilire la necessità di una linea comune che non avvalori false certezze. UNCT, (United Nations Country Team), UNPF, (United Nations Population Fund), OHCHR (United Nations Human Rights) concordano nel dire che le testimonianze acqusite non sono prove. Le indagini, condotte dalle diverse agenzie internazionali con quella etiopica per i diritti umani (EHRC), sono ancora in corso. Servono un comune metodo e strumenti adeguati perché, dice Letty Chiwara, rappresentante UN in Etiopia, non è certo come fare un censimento casa per casa. Inoltre bisogna evitare di alimentare il sensazionalismo già orchestrato dai media. Che è quanto ha fatto Amnesty International con il report uscito l’11 agosto, mentre nella regione Amhara imperversano gli attacchi contro i civili. Un elenco di testimonianze non verificate né verificabili, raccolte nei campi profughi in Sudan o tra le donne sfollate a Shire, via telefono o con interpreti a fianco agli intervistatori.
Tra l’altro proprio nei campi profughi sudanesi, secondo il governo di Addis Abeba, si sarebbero nascosti i miliziani Samri del Tplf, i soldati cioè che si sono macchiati del massacro di Mai Kadra, contro gli Amhara. Un eccidio nel quale hanno perso la vita 1.600 persone, secondo una stima recente. L’interrogativo è se, in tale contesto, fosse possibile per le donne tigrine fornire testimonianze indipendenti.
In questi giorni le televisioni locali della regione Amhara mandano in onda servizi nei quali le persone raccontano gli episodi raccapriccianti di una guerra arrivata con violenza nelle loro case. “Una generazione di tigrini” spiega uno di loro “è cresciuta con l’ideologia per cui gli Amhara sarebbero un bersaglio naturale, per questo motivo, dopo l’intervento del 4 novembre delle forze Amhara a fianco dell’esercito federale, sono diventati il target da colpire. I soldati bambini catturati dall’esercito etiopico hanno detto che la loro missione in prima linea era distruggere tutto e uccidere, sapendo che contro di loro non avrebbero mai sparato”. Apripista sacrificali per il TDF, cui il New York Times, dedicava, lo scorso luglio, parole di elogio inneggianti al coraggio…
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