La morte di Meles Zenawi, premier etiopico.
Il portavoce etiopico conferma la notizia che Meles Zenawi, 57anni, primo ministro dell’Etiopia, è deceduto nella notte di lunedì 20 agosto all’estero, presso l’ospedale nel quale si trovava per curare un’infezione provocata dalla malattia di cui soffriva da tempo.
Meles ha guidato il Paese dal 1991 a oggi dopo la feroce dittatura filosovietica di Menghistu Heilè Mariam, sconfitto grazie all’unione delle forze dei ribelli eritrei ed etiopi. Etiopia ed Eritrea hanno una storia fatta d’intrecci e distacchi; geograficamente confinanti i due Paesi negli anni trenta del Novecento diventano parte dell’Africa Orientale Italiana, colonie fasciste mantenute e conquistate per creare l’Impero.
Poi, dopo la caduta dell’asse Roma-Berlino, nel 1941, arrivano gli angloamericani che da un lato promettono l’indipendenza agli eritrei, dall’altro sollecitano l’annessione dell’altopiano all’Etiopia. Negli anni successivi l’Italia, che rimane presente in Eritrea garantendo agli inglesi la precedente struttura burocratica, approva la soluzione federale, male minore, come dirà l’Ambasciatore italiano Guidotti.
Heilè Sellasie intanto attua un’abile ed efficiente politica estera, avvicinandosi sia ai paesi europei sia agli Stati Uniti, reale potenza economica del dopoguerra. Nel 1962 la federazione nata nel 1950 con parere favorevole delle Nazioni Unite è abrogata unilateralmente, facendo diventare l’Eritrea la 14° provincia etiope. Nessuno reagisce.
In quegli stessi anni gli Usa riceveranno dall’Etiopia la concessione dell’utilizzo, per 25 anni, delle istallazioni militari inglesi su territorio eritreo e, soprattutto, della stazione d’ascolto Radio Marina di Asmara che diventa Radio di Kagnew, (nome di battaglia del padre del Negus e già del battaglione etiope inviato in Corea) il più importante centro d’ascolto radio americano all’esterno degli USA.
Il 27 agosto 1975 muore il Negus. Gli Usa, che hanno perso un alleato, si preoccupano per l’offensiva sovietica in Africa dove, nelle ex colonie portoghesi, salgono al potere movimenti filosovietici. Dal 1961 l’Eritrea è organizzata clandestinamente in fronti di liberazione per combattere per l’indipendenza, i suoi obiettivi sono libertà e autodeterminazione, l’Etiopia invece vuole i porti eritrei per il controllo del traffico marittimo.
Nel 1977 l’amministrazione Carter si rifiuta di armare l’Etiopia di Menghistu che, per rappresaglia, smantella le posizioni militari e informatiche della Kagnew Station di Asmara e stringe alleanza con l’URSS. L ’Italia degli anni ‘70 e ‘80 ignora l’Eritrea e il suo destino, anzi la posizione del PCI di Giancarlo Pajetta, allineata all’URSS, è pro Menghistu; solo Achille Occhetto scrive su Rinascita, nel 1978: nel caso dell’Eritrea assisteremo senza proteste alla sua fine?
Nel 1978-1979 l’Etiopia, travolta da una violenta carestia, utilizza per scopi bellici gli aiuti ricevuti. Isaias Afwerki, vice segretario generale del FPLE, (Forze Popolari di Liberazione dell’Eritrea) futuro presidente dell’Eritrea libera, dirà al giornalista Stefano Poscia di ritenere che l’URSS non possa permettersi di perdere l’Etiopia se vuole mantenere un caposaldo nella regione, mentre i paesi occidentali ritengono che nello scacchiere africano un paese grande come l’Etiopia solletichi ben più l’interesse rispetto a un paese piccolo come l’Eritrea…perché perdere tempo con gli eritrei quando si aspetta solo di poter rimpiazzare l’Unione Sovietica nelle alleanze internazionali del regime etiope?
La questione eritrea è spinosa. Il Paese era stato federato con il parere favorevole degli Usa, a differenza di Libia e Somalia, così quando Menghistu succede a Heilè Sellassie, si poteva sperare in una soluzione favorevole all’Eritrea, se gli americani non fossero stati sostituiti dai sovietici, nuovi alleati forti.
Il 1991 è un anno decisivo per Eritrea ed Etiopia. L’Etiopia affida il governo di transizione, dopo Menghistu, a Meles Zenawi che aveva guidato la rivolta del TPLF, (Tigray People’s Liberation Front) mentre l’Eritrea, finalmente libera dalle mire straniere, si prepara a diventare nazione con il referendum del 1993.
Tuttavia il retroterra storico-politico dei due paesi è profondamente differente; Isaias Afwerki, leader del Fronte di liberazione e ora primo presidente, deve riunire un Paese formato da molte etnie e nuclei religiosi senza scavalcarne nessuna, per costruirlo ex novo, invece Meles, sconfitto il nemico comunista, può continuare a contare sull’aiuto dell’America di cui diventa alleato strategico nel Corno d’Africa.
Il periodo successivo all’indipendenza per l’Eritrea si apre bene; dal 1991 al 1997 il Paese cresce, la società si riorganizza, la gente della diaspora rientra, nascono e si riparano le infrastrutture e i commerci riprendono. Il 1998 invece porta l’amara sorpresa dell’attacco etiope, un conflitto pesantissimo con moltissimi morti da entrambe le parti che si chiude nel 2000 con l’accordo di Algeri che affida a una commissione delle Nazioni Unite l’ultima parola sul confine tra i due Stati, motivo ufficiale del contendere.
La commissione decide che la città di confine, Badme, sia eritrea ma il governo di Addis Abeba ignora la risoluzione e non ritira le proprie truppe. I due Paesi diventano vicini armati; l’Etiopia, filo americana, non abbandona una politica aggressiva che Asmara cerca di contenere, rallentando il proprio sviluppo economico a favore di una difesa inevitabile.
Nel 2010-2011 l’Eritrea riprende a crescere, gli investimenti, anche privati, premiano il rifiuto di una carità vuota di sostanza che impoverisce il Paese.
ll Corriere della Sera (21 agosto 2012) scrive di Meles, “il capo guerrigliero che amava Bob Marley e credeva nella democrazia”, “vedremo cosa accadrà con la sua morte”. Aggiungendo, “una cosa è certa: il suo arcinemico Isaias Afeworki starà festeggiando”.
Sul primo punto non si può che concordare, il dopo Meles aprirà uno scenario diverso ma la seconda considerazione è un macabro giudizio simile ai rumors che qualche mese fa hanno invaso la stampa con la notizia (falsa) della morte del presidente Afwerki.
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