EritreaLive intervista Enrico Marcora
EritreaLive intervista Enrico Marcora, lista Sala: quale Milano si vuole dopo il voto del 5 giugno quando la città sceglierà il nuovo sindaco? “Una Milano nella quale non conti il colore della pelle ma i valori del cuore” dice Marcora.
Beppe Sala, con il 42% di preferenze, vince le primarie ed è candidato sindaco per Milano, sostenuto dal PD. Perché lei ha deciso di entrare in questa lista?
Perché Beppe Sala è un manager che ha ottenuto un grande risultato con Expo e la capacità di gestire l’Expo può essere una qualità importante anche per Milano, soprattutto per il processo di internazionalizzazione di cui la città ha sicuramente bisogno.
Tanti investimenti stranieri arriveranno a Milano, gestire questi investimenti e fare in modo che Milano continui sull’onda dell’Expo, è un fatto assolutamente positivo. Perché con il PD? Perché in questo momento l’unica risposta alla demagogia del centro destra, è un centro sinistra moderato, capace di governare e dare governabilità a Milano e al paese.
Come sono i contatti tra Milano e i paesi stranieri, per esempio quelli che hanno partecipato a Expo?
Milano è una città multiculturale, penso alla ristorazione grazie alla quale i milanesi possono andare in tanti ristoranti internazionali, quindi già prima di Expo conoscevano i sapori del mondo. Però Expo è stata una finestra sul mondo per i milanesi e per gli italiani. Tutti i visitatori di Expo in una giornata, code a parte, potevano visitare molti padiglioni e farsi un’idea, seguendo il tema di Expo, “nutrire il pianeta”, avendo così la possibilità d’incontrare quasi tutti i paesi del mondo.
Sala, nel suo programma, scrive che Expo è stata per Milano una “svolta positiva”. È rimasta una scia di questa positività?
Expo è avvenuto in un momento economico particolare per l’Europa e per l’Italia, in un periodo di crisi. Expo, sia dal punto di vista economico, e i dati si vedono ora, sia dal punto di vista morale ha dato un’opportunità positiva alla città. È stata davvero una svolta positiva e ha messo Milano e l’Italia al centro del mondo, per almeno sei mesi.
Sala è riuscito, politicamente, a barcamenarsi subentrando a un primo avvio contestato e complicato…
Diciamo, perché alle parole bisogna dare un senso, che i direttori prima di Sala hanno fallito. Persone che non sono state neanche capaci di far partire programmi, rapporti con gli enti, finanziamenti, apertura dei cantieri. Sala, con una grinta che gli fa onore, è riuscito a far ripartire un progetto molto impegnativo sotto tutti i punti di vista; per infrastrutture, collegamenti, trasposti, per l’organizzazione stessa del sito.
Credo che abbia dato prova di grande capacità.
“Noi” dice Sala nel programma, cioè una città che non esclude nessuno, che pensa anche a chi non è nato in Italia?
Il rapporto di Milano con l’immigrazione è un tema importante. Non è un problema solo di Milano, dell’Europa ma è il problema del mondo quello delle migrazioni che dal sud si riversano al nord. Diciamo che si arriva dal sud del mondo, purtroppo più povero, alla ricerca di un nord più ricco, per trovare stabilità. Milano è sempre stata una città che ha cercato di includere, l’ha fatto nel dopoguerra con il meridione d’Italia e lo sta facendo oggi con il sud del mondo.
Credo che il Comune di Milano debba portare avanti delle regole di inclusione, dare opportunità ma, attenzione, deve avere anche la capacità di dire che non è che a Milano ci sia posto per tutti, in qualsiasi modo. Ci vogliono delle regole per l’arrivo delle persone. Questo perché non bisogna essere superficiali sull’immigrazione e non si può pensare che un territorio possa accogliere gente all’infinito.
Io credo che il volontariato milanese e la cittadinanza milanese che ha accolto, continuerà ad accogliere ma è necessario regolare i flussi.
Milano città aperta, accogliente, che non ha paura dello straniero, sono questi i valori del centrosinistra?
A Milano c’è un welfare ambrosiano storico, basti pensare che il primo ospedale milanese, il Cà Granda, è stato un gesto di solidarietà, ma soprattutto c’è una solidarietà rappresentata dalla Chiesa ambrosiana, dal Cardinal Martini e dal Cardinal Tettamanzi.
Credo che intorno a questi valori si possa pensare all’accoglienza e all’integrazione. Guardo con paura, con preoccupazione quella parte d’Europa incapace di avere questi sentimenti di accoglienza, soprattutto considerando che sono passati solo 70 anni dalla più grande tragedia del nostro tempo, la seconda guerra mondiale, dove alla solidarietà si è sostituito il dramma.
Come dobbiamo immaginare una “Milano dei milanesi” aperta al mondo?
Una “Milano dei milanesi” con milanesi non solo bianchi ma anche con gli occhi a mandorla e con la pelle scura. Questa è la Milano che immagino. Un milanese che, come negli anni passati, veniva da Reggio Calabria, dalla Puglia o dalla Sicilia, oggi arrivi da altre parti del mondo. Immagino un milanese multiculturale ma soprattutto un milanese non caratterizzato dal colore della pelle o dal taglio degli occhi ma dai valori che porta nel cuore e nella mente, che è il vero modo per fare grande una città, un territorio.
L’Europa è in affanno, in bilico tra forti chiusure e deboli aperture. Voi dite, “dove faticano gli Stati possono arrivare le città”, come?
Le città sono vicine ai problemi delle persone.
Gli Stati sono più impegnati nei rapporti internazionali, nelle politiche internazionali, le città invece affrontano i problemi quotidiani, sono più vicine alla gente.
Milano, tema caro al centro sinistra, deve ragionare in termini di città metropolitana, una struttura dello Stato più snella, più economica, quindi rappresentata da enti più grandi.
Milano, una città metropolitana, un’area non più di 1 milione e 200 mila abitanti ma di 3 milioni, questo vuol dire essere più vicini ai cittadini.
Una nuova città che non crea tanti piccoli comuni in concorrenza tra loro ma un’amministrazione che si occupa della città metropolitana dando servizi più efficienti e veloci, risparmiando.
La grande riforma dello Stato è quella di riuscire ad ottimizzare, con la diminuzione di risorse, quelli che sono gli enti intermedi e anche gli enti comunali. Non si può pensare di avere un Comune di Milano e anche uno di Sesto San Giovanni, perché fanno esattamente le stesse cose.
Milano, una città con molte ong, dove si lavora per la cooperazione internazionale e il co-sviluppo, lei crede in quest’aiuto?
Penso che uno dei grandi valori di Milano sia il volontariato.
Sono vicino al volontariato con una proposta concreta, e cioè che in tutte le zone esistano “case del volontariato”, luoghi dove gratuitamente le associazioni di volontariato italiane e straniere, si possano incontrare e possano stare vicine.
La vicinanza fisica porterà a una cooperazione tra le associazioni. E la forza delle associazioni è la cooperazione. Una “casa del volontariato” dove, ciascuna associazione, abbia uno spazio proprio e spazi in comune: l’auditorium, il computer, un piccolo bar, un piccolo ristorante.
Un luogo per incontrarsi, per affrontare problemi simili, per cooperare. Lo Stato ha sempre meno soldi, non potranno che essere strumenti come le associazioni a fare sussidiarietà per lo Stato. Dove non arriva lo Stato arriva l’associazione.
Renzi ha detto a Sala che per vincere le Comunali si deve andare “casa per casa” per convincere vicini, amici, parenti, indecisi. Lei conosce la comunità eritrea di Milano, perché gli eritrei dovrebbero votare la lista Sala, dandole la preferenza, cosa offre Milano a loro?
La comunità eritrea ha un vincolo particolarmente forte con l’Italia, ricordiamo che eravamo presenti nei primi del ‘900 in quelle terre.
C’è un legame storico che non esiste con altre comunità.
L’altro elemento importante è che oggi il Comune deve avere un rapporto diretto con ogni singola comunità, perché ognuna ha problematiche particolari e ognuna deve avere interlocutori diretti in comune con cui affrontare tali problematiche.
Credo che la comunità eritrea debba scegliere candidati tra quelli più affidabili e seri, per fare in modo che i propri problemi siano affrontati dal Comune.
Un problema per tutte le comunità a Milano, per esempio, è quello della casa. Credo che questo sia un tema che la comunità eritrea potrebbe affrontare con l’amministrazione comunale.
Londra ha appena eletto sindaco il laburista Sadiq Khan, figlio d’immigrati pachistani, tuttavia la città registra il fallimento del melting pot, molte comunità convivono senza però formare una comunità cittadina. A Milano com’è la situazione?
Ancora oggi a Milano non c’è totale integrazione delle comunità. Ma è naturale, questi processi hanno bisogno di tempi lunghi.
La comunità siciliana a Milano non si è integrata in due anni, ma in quaranta.
A Milano, però, non c’è ghettizzazione fra le comunità. L’integrazione è un processo da aiutare, ecco perché oggi è particolarmente importante che, all’interno dell’amministrazione, ci siano persone con la sensibilità per affrontare il problema. La situazione è in evoluzione ma, ripeto, ci vogliono persone che abbiano la volontà di far progredire il processo d’integrazione.
Marilena Dolce
@EritreaLive
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