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Eritrea, perché rimangono le sanzioni?

Marilena Dolce
19/09/16
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Sanzioni in Eritrea, perché rimangono?

Credit Tesfanews, l’Eritrea risponde al Somalia Eritrea Monitoring Group (SEMG) sulla questione delle sanzioni ritenute ingiuste

Credit Tesfanews, l’Eritrea risponde al Somalia Eritrea Monitoring Group (SEMG) sulla questione delle sanzioni ritenute ingiuste

Aiuto al fondamentalismo somalo, disputa con Gibuti, violazione dell’embargo, proventi minerari nascosti, per questo rimangono le sanzioni?

La risposta eritrea al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Nel 2009 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sanziona l’Eritrea con l’accusa di sostenere i fondamentalisti somali di Al Shaabab e di non risolvere la disputa di confine con Gibuti. Scattano perciò, (risoluzione 1907), le sanzioni.

Il pacchetto prevede l’embargo sulla vendita di armi e di qualsiasi equipaggiamento militare e il blocco delle risorse finanziarie dell’Eritrea all’estero.

Inoltre si forma una commissione, Somalia Eritrea Monitoring Group (SEMG)
con il compito di osservare la situazione nei due paesi (Eritrea e Somalia) e riferire al Consiglio.

Finora le sanzioni sono state prorogate.

Il 26 agosto scorso la missione permanete eritrea presso le Nazioni Unite, invia una lettere al Consiglio di Sicurezza per chiarire, ancora una volta, la sua posizione. Chiede quindi l’annullamento delle sanzioni.

Innanzitutto l’Eritrea respinge l’accusa di “mancanza di cooperazione con il SEMG”, ricordando i 15 incontri, le numerose videoconferenze e il constante dialogo con il gruppo di monitoraggio, dal suo insediamento a oggi.

Uno dei punti delle sanzioni, il conflitto con Gibuti, è risolto.

Durato due anni, dal 2008 al 2010, il conflitto, secondo fonti Onu, avrebbe causato la morte di 35 persone e il ferimento di molte da entrambe le parti.

Nel 2010 si è concluso con un accordo. Grazie alla mediazione dell’emiro del Qatar, Shikh Hamad Bin Khalifa al Thani, la pace sulla questione confine tra Eritrea e Gibuti, rimasta in sospeso dai tempi delle colonie, è raggiunta.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite chiede all’Eritrea se ci siano ancora, nelle sue galere, prigionieri di quella guerra.

Una questione, spiega l’Eritrea, chiusa definitivamente il 16 marzo scorso, come confermato dalla lettera indirizzata alla commissione stessa dall’emiro del Qatar.

Nella lettera il Qatar scrive che non ci sono più prigionieri di guerra in Eritrea.

Ce n’erano sette, due sono scappati, uno è morto e i restanti quattro sono stati rilasciati con la mediazione del Qatar, come stabiliva il trattato firmato nel 2010.

Che ci siano ancora prigionieri di guerra, dice l’Eritrea, è una notizia falsa, senza alcun fondamento e aggiunge: “non si capisce perché il SEMG accolga queste accuse, senza prove, che provengono da alcuni gruppi di Gibuti”.

Può essere questo uno dei motivi perché restino le sanzioni?

L’altra accusa che ha portato alle sanzioni è il presunto fiancheggiamento, da parte eritrea, del terrorismo somalo.

In questi anni, tuttavia, lo stesso SEMG ha dichiarato, nei suoi rapporti, di non aver trovato prove di tale aiuto eritreo ad Al Shaabab.

Accusa e sanzioni relative avrebbero dovuto cadere.

Invece l’accusa, dice l’Eritrea, si è modificata. È diventata un generico e indefinito “aiuto a gruppi armati”.

Sottintendendo, in modo non troppo elusivo, che alla base dell’aiuto ci sarebbe la perenne conflittualità Eritrea-Etiopia.

Il SEMG, dice l’Eritrea, ha spostato l’accusa. L’Eritrea non aiuterebbe gruppi fondamentalisti somali ma armerebbe gruppi in altri paesi.

Si fa intendere che ci sarebbe l’aiuto di Asmara a gruppi etiopici in conflitto con il governo di Addis Abeba.

Il SEMG però ignora l’aggressività dei mesi scorsi dell’Etiopia contro l’Eritrea.

“Il 12 giugno” ricorda il documento eritreo “l’Etiopia ha aggredito l’Eritrea nella zona di Tsorona”.

L’Eritrea ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di prendere posizione, ma non è successo niente.

Il 5 luglio scorso, durante un discorso al Parlamento, il primo ministro etiopico ha confermato l’attacco contro l’Eritrea. Aggiungendo che ce ne sarebbero stati altri.

Il 28 giugno il ministro della difesa etiopico si è espresso duramente contro l’Eritrea, dicendo che “avrebbe avuto qualcosa da temere”.

Dello stesso tenore molte altre minacciose dichiarazioni ufficiali.

Non lontane, dunque, da quelle fatte nel 2012 dall’ex primo ministro, Meles Zenawi che, durante un discorso al Parlamento, assicurò che l’Etiopia avrebbe fatto di tutto per un “regime change” in Eritrea. Avrebbe soprattutto aiutato gli attivisti contro il governo di Asmara.

Che l’Etiopia, oggi, stia vivendo una profonda crisi interna non è un problema causato dall’Eritrea.

Due gruppi, numericamente importanti, Oromo e Amhara, accusano il governo etiopico di non aver lasciato loro nessun ruolo nella vita politica, sociale ed economica del paese.

Nonostante la stampa internazionale stia seguendo svogliatamente questi scontri che hanno causato molti morti e feriti, è evidente che la causa è interna all’Etiopia stessa.

L’Eritrea, precisa inoltre, di non aver violato l’embargo sulle armi stabilito dalla risoluzione Onu. “Una situazione”, sottolinea, “quella dell’embargo armi che l’Etiopia ha sfruttato a proprio favore”.

Le truppe etiopiche infatti continuano a rimanere, contrariamente a quanto stabilito dall’Accordo di Algeri (2002), all’interno del territorio eritreo.

Ma ad essere sanzionata è l’Eritrea.

Altri punti contestati all’Eritrea dal SEMG esulano dal compito ufficialmente stabilito, investendo la sfera della vita politica del paese, dice l’Eritrea.

In questo senso la critica alla tassa del 2%. Una tassa sul reddito pagata da tutti i cittadini, sia in patria sia all’estero, nata per la ricostruzione del paese, dopo trent’anni di lotta per la conquista dell’indipendenza (1993).

Inoltre il SEMG afferma che non c’è chiarezza sulla destinazione dei proventi della Miniera di Bisha.

L’Eritrea risponde che, dal settore minerario, ha ottenuto ogni anno 200 milioni di dollari.
Aggiungendo, però, che le spese sostenute dal paese per educazione, sanità e sicurezza alimentare ammontano a circa 300 milioni di dollari all’anno, cui vanno aggiunti altri 300 milioni per l’acquisto del carburante.

Non ci sono sotterfugi. L’Eritrea non toglie niente ai cittadini.
Chiede anzi che le sanzioni siano abolite, perché è ingiusto che siano i cittadini eritrei a pagarne il prezzo.

Del resto l’agenda 2030 voluta dall’Onu perché tutti i paesi abbiano uno sviluppo sostenibile, si basa sul motto: “nessuno dev’essere lasciato indietro”.

Ma come può fare l’Eritrea a tenere il passo, ad accelerare lo sviluppo, a migliorare il tenore di vita della popolazione se resta vittima di sanzioni sorpassate dall’evidente estraneità alle accuse?

Marilena Dolce
@EritreaLive

Marilena Dolce

Marilena Dolce, giornalista. Da più di dieci anni viaggio verso il Corno d'Africa e da altrettanti scrivo ciò che vedo. Soprattutto per Eritrea ed Etiopia ma non solo. Dal 2012 scrivo per EritreaLive, notizie e racconti in diretta dall'Eritrea. Perchè per capire il mondo bisogna uscire dal proprio quartiere, anche solo leggendo.

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