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Eritrea, maggio il mese dell’indipendenza

Marilena Dolce
24/05/23
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Eritrea, a maggio si festeggia il mese dell’indipendenza

Eritrea festa indipendenza
Eritrea Asmara festa dell’indipendenza

Il 24 maggio 1991 i combattenti eritrei del Fple liberano Asmara. Finalmente, dopo trent’anni di lotta iniziati nel 1961 il paese è indipendente.

In quei giorni l’Eritrea impartisce una lezione al mondo. Una comunità piccola, composta da uomini e donne oppressi nella loro stessa terra riesce a sconfiggere, nell’incredulità internazionale, un esercito più numeroso e armato. I guerriglieri eritrei, non più di 110 mila uomini combattono e vincono contro l’esercito etiopico di Menghistu Hailé Mariam che ne conta più di 450 mila. Gli eritrei vincono perché i guerriglieri, la popolazione civile, la diaspora, tutti insieme appoggiano la lotta. Ormai negli anni Sessanta è chiaro che saranno loro a doversi prendere con le armi quello che il diritto internazionale ha negato.

Contro ogni logica legata ai numeri e nonostante l’appoggio all’Etiopia dato prima dall’America, poi dell’Urss, l’Eritrea libera il proprio Paese senza nessun aiuto esterno. E nel 1993, dopo due anni di indipendenza di fatto, con il referendum più affermativo della storia il 99.8 per cento della popolazione sceglie l’indipendenza per diritto.

Diventa così Presidente del più giovane paese africano l’ex combattente e leader del Fple, (Forze Popolari Liberazione Eritrea) Isaias Afwerki che mostra subito che l’Eritrea non ha combattuto trent’anni per scendere a compromessi. Nel giugno del 1993, infatti, durante il suo primo intervento all’Organizzazione dell’Unità Africana, il Presidente dice esplicitamente che sì è felice di partecipare al summit, ma che l’Oua ha “tradito i propri principi fondamentali”, lasciando che l’Africa rimanesse un continente nel quale i cittadini non possono ancora camminare a testa alta”.

Messa da parte ogni diplomazia, l’Eritrea per anni avrebbe rifiutato i principi che non condivideva. Come si dice, meglio soli che male accompagnati.

Nel breve periodo di pace successivo all’indipendenza, nel marzo 1998, poco prima della guerra con l’Etiopia governata dalla coalizione di Meles Zenawi, esce sul Los Angeles Times un’interessante intervista al presidente Isaias.

In quel momento l’America guarda ancora con simpatia a quello che definisce, “non il classico presidente africano”. Anzi, secondo il dipartimento di Stato americano, quella eritrea è una storia di successo. Un paese da ricostruire, devastato dagli anni di combattimenti, che ha però uno dei tassi di criminalità più bassi al mondo e che respinge l’aiuto calato dall’alto. Dice il Presidente in quell’intervista che “l’aiuto dovrebbe essere come l’aspirina”, un farmaco temporaneo, non una cura. Al posto degli aiuti portati dalle Ong internazionali l’Eritrea sceglie perciò l’autosufficienza, il far da sé.

Purtroppo nel 1998 la guerra con l’Etiopia interrompe una pace troppo breve. E nel 2002 l’accordo di pace di Algeri, “definitivo e vincolante”, che ristabilisce i confini sull’altopiano, non sarà mai accettato dall’Etiopia. La  successiva tensione, o meglio lo stato di “non pace e non guerra” non porta morti ma ferisce l’economia eritrea impedendone la crescita e costringendo il paese a mantenere una vigile allerta.

In quegli anni la politica estera dell’Etiopia, abbandonata dall’ex Urss, è nuovamente vicina agli Stati Uniti. Per gli Usa l’Etiopia, il più popolato paese del Corno d’Africa, resta l’interlocutore cui affidarsi per la stabilità nella regione e, soprattutto, per la lotta contro il terrorismo. Così l’America chiude gli occhi sul permanere della controversia sui vecchi confini coloniali e anche sul desiderio “unitario” che spingerebbe il Tplf a volere l’Eritrea parte del grande Tigray. Seguiranno anni in cui l’Eritrea è accusata dalle Nazioni Unite di spalleggiare il terrorismo, senza che mai ce ne sia una prova. Sono poi decise e rinnovate sanzioni che bloccano la crescita del Paese impoverendolo e costringendo i giovani all’emigrazione.

Questa la situazione fino al 2018. Poi arriva il cambiamento. In Etiopia il nuovo premier Abiy Ahmed, che prende il potere dopo la morte di Meles Zenawi e il ritiro per lo stato di emergenza del Paese di Hailè Mariam Dessalegn, appena insediato incontra ad Asmara il presidente Isaias per firmare con lui l’accordo di pace rimasto in sospeso nel 2002. I rapporti tra i due paesi tornano buoni e nel 2020, nello scontro interno tra governo e Tplf nella regione del Tigray, Abiy chiederà l’appoggio militare dell’Eritrea che combatterà con l’esercito federale e le milizie Amhara, fino all’accordo di Pretoria del 2 novembre 2022.

Nel frattempo la politica estera eritrea porta il presidente Isaias, a intrattenere rapporti positivi, per la stabilità della regione, con Somalia, Gibuti, Kenya, Sud Sudan, Sudan.

È di qualche settimana fa l’intervista rilasciata alla stampa locale dal Presidente Isaias sulla guerra scoppiata in Sudan il 15 aprile scorso. Parlando in arabo il Presidente ha detto che ora l’obiettivo è la fine del conflitto tra i due generali, Abdel Fatah al Burhan (SAF) e Mohammed Hamdane Daglo, detto Hemetti (RSF). Poi dovrebbe essere lo stesso esercito a consentire la transizione verso un governo civile, solo a quel punto, non prima, il Sudan potrà avere un’unica forza di difesa.  L’Eritrea comunque non chiude le frontiere ai sudanesi. È vicina alla popolazione che aveva sostenuto i guerriglieri durante la guerra di liberazione e accolto i profughi eritrei che negli anni Settanta sono oltre centomila. Per questo nella città confinante di Tessenei, le famiglie eritree accoglieranno i profughi in fuga dalla guerra di Khartoum, dice il Presidente.

Sull’accoglienza eritrea va anche detto che il paese non solo ha deciso di mantenere aperte le frontiere per i sudanesi, ma ha anche organizzato l’evacuazione dalle città del Sudan dei lavoratori cinesi arrivati ad Asmara.

E proprio la Cina, apre con l’Eritrea, un nuovo importante capitolo nelle relazioni estere africane. Arrivato la scorsa settimana a Pechino su invito del presidente Xi Jinpig, il presidente Isaias è accolto veramente con calore, non solo per modo di dire. “Se sei un leader serio, come il presidente dell’Eritrea, Isaias Afwerki, che rispetta sé stesso e il suo popolo e si rifiuta di inchinarsi all’imperialismo occidentale, allora le grandi potenze come la Repubblica Popolare Cinese ti trattano con il rispetto e l’onore che meriti”, dichiara il presidente cinese.

Nel 2021 l’Eritrea aderisce all’iniziativa della Nuova via della Seta, per lo sviluppo di più forti legami tra i due paesi. Il presidente Xi Jinpig conferma che Pechino incoraggerà e finanzierà le imprese che decidono di investire in Eritrea nelle infrastrutture, telecomunicazioni, agricoltura, nell’estrazione mineraria, nella pesca o in altri settori. Inoltre saranno inviati in Eritrea gruppi di medici.

Proprio il 24 maggio, festa dell’indipendenza eritrea, Cina ed Eritrea festeggeranno il 30° anniversario delle loro relazioni diplomatiche.

Del resto si può dire che la Cina sia parte della storia dell’indipendenza eritrea. All’inizio del 1967 infatti Isaias Afwerki con altri combattenti va in Cina per un corso di addestramento militare. Una lotta che porta il Paese a festeggiare quest’anno i 32 anni di indipendenza.

 

 

Marilena Dolce

Marilena Dolce, giornalista. Da più di dieci anni viaggio verso il Corno d'Africa e da altrettanti scrivo ciò che vedo. Soprattutto per Eritrea ed Etiopia ma non solo. Dal 2012 scrivo per EritreaLive, notizie e racconti in diretta dall'Eritrea. Perchè per capire il mondo bisogna uscire dal proprio quartiere, anche solo leggendo.

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