Eritrea, la bicicletta e gli italiani
Tracce di storia coloniale .
Il colonialismo italiano in Eritrea inizia con un insediamento militare, cui si affianca, poco dopo, con l’arrivo del Governatore Ferdinando Martini, (1897) quello civile e il progetto di costruire una nuova capitale, Asmara, non solo per gli accampamenti militari ma anche per accogliere chi emigrava dall’Italia, con famiglia, in cerca di lavoro e benessere.
Un’Italia contadina, da poco unita, che non ha mai avuto storia coloniale e che, dopo il disastro di Dogali, investe cautamente in un colonialismo fatto di botteghe, industrie, commerci, dove per lavorare c’è bisogno della popolazione locale, di apprendisti nelle officine, maestranze nei cantieri, garzoni nei negozi e dove la vita quieta tiene a bada il peggior razzismo.
Borghesia e nobiltà non sono interessate all’acquisto di terre, men che meno li attira trasferirsi in un pezzo d’Africa arido, senza latifondi, che gli inglesi desiderano diventi italiano per frenare l’espansionismo francese.
Dunque lasceranno quest’esplorazione ai viaggiatori romantici, ai militari, ai “faccendieri” ma soprattutto alla piccola borghesia intraprendente che, dalle regioni settentrionali, fino alle isole, cercherà, con pochi soldi, fortuna lontano da casa.
È nel 1879 che Giuseppe Sapeto compera la Baia di Assab, per conto dell’armatore genovese Raffaele Rubattino che la cederà all’Italia nel 1885.
Nel 1890 nasce, con nuovi confini e un nome che rispecchia il rosso del mare, l’Eritrea dal greco erythros.
Spostare sull’altopiano la capitale, allontanandosi dal soffio caldo di Massawa poco adatto alla fatica del lavoro manuale, è la prima mossa dell’amministrazione civile succeduta a quella militare.
Il percorso, però, dal caldo della costa al fresco dell’altopiano, è lungo e faticoso e gli spostamenti, a dorso di cammello, o a cavallo, sicuri ma lenti.
I commerci hanno bisogno di velocità, d’infrastrutture, così arrivano gli ingegneri italiani che progettano e costruiscono strade, ferrovie, persino una teleferica.
La strada più spettacolare è proprio quella che collega la costa alla capitale: «era l’inizio della grande camionale che sale da Massaua fino ad Asmara e poi passa attraverso le montagne seguendo lo stesso percorso dell’avanzata di Badoglio […]
È un’opera possente, una strada ampia, ben spianata, duratura, un monumento al lavoro organizzato. Attraversa uno dei territori più ardui del mondo. A volte ne segue i contorni, tagliando la superficie rocciosa, sostenuta da grandi contrafforti e bastioni in cemento con copertura in pietra; di continuo precipita nelle gole che solcano il Paese, in una serie interminabile di stretti tornanti dolcemente digradanti; collega le sponde dei fiumi su arcate romane e di nuovo si inerpica sulle montagne più oltre; a volte corre assolutamente dritta verso la pianura su un altro terrapieno in pietra.
In tutti gli anni di pace con il mondo esterno, con le consulenze europee e un’illimitata mano d’opera indigena a disposizione, il governo dello Scioa [ndr, Etiopia], il cui bisogno principale e scopo dichiarato era il miglioramento delle vie di comunicazione, era riuscito a costruire soltanto le patetiche piste che vanno da Addis Abeba a Dessiè e da Dire Daua fino a Giggiga», così scrive il giornalista inglese Evelyn Waugh, nel reportage del 1936, In Abissinia.
Lascia un commento