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Eritrea-Italia: questo è un film già visto

Marilena Dolce
23/09/15
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Questo film l’ho già visto, di Daniel Wedi Korbaria

Questo film l’ho già visto

 

L’antefatto.
Voce fuori campo di un immigrato eritreo: “Sarò pure un visionario ma io questo film l’ho già visto e so come finisce.”
In vent’anni d’Italia ho letto cataste di giornali corredati dalle menzogne dei suoi giornalisti. In vent’anni ho imparato a riconoscerli, so come lavorano, conosco il loro modo di martellare quotidianamente per colpire chi è finito sotto l’obiettivo americano.

A fine anni novanta il target era stato Milosevic e allora caddero bombe Nato su Belgrado poi fu la volta di Saddam che si diceva uccidesse la sua popolazione. Si narrava di civili oppressi che, sotto i suoi artigli, morivano di stenti o per mancanza di libertà. Quasi tutte le testate omettevano invece di scrivere dei danni collaterali sulla popolazione civile dovuti alle sanzioni statunitensi e all’embargo sui medicinali.

Ricordo che l’opinione pubblica italiana fu sollevata quando gli Usa nel 2003 iniziarono a bombardare l’Iraq. “Era ora”, dicevano quelli che avevano imparato a riconoscere in Saddam il diavolo in persona. Tutti tronfi e soddisfatti dell’attacco militare visto che lui, il nemico pubblico numero uno, non avrebbe mai più usato quelle armi di distruzione di massa di cui i giornalisti avevano trattato ampiamente convincendo l’opinione pubblica della loro esistenza.
A febbraio di quell’anno eravamo in pochissimi in Piazza San Giovanni a Roma per protestare contro la guerra in Iraq, non ci furono abbastanza pacifisti per fermare quella maledetta guerra.

La trama del film.
Il lavoro dei giornalisti e degli attivisti delle Ong provoca una reazione internazionale, manifestazioni di piazza per i diritti umani, urgente consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e in concomitanza riunione straordinaria della Nato, escalation militare e rombo dei motori degli aerei che decollano carichi di bombe “democratiche”. In seguito le bombe della libertà, della giustizia e del rispetto dei diritti umani cadono a migliaia. È questa la guerra della democrazia contro il regime. Le bombe uccidono donne e bambini, provocano l’esodo di migliaia di rifugiati, l’allestimento di tendopoli e il proliferare di Ong che gestiscono i campi profughi.

È un film già visto e rivisto.

Ecco la mia domanda agli spettatori: “Perché rivedere un film di cui già conoscete il finale avendolo visto parecchie volte nella recente storia mondiale? Volete lo stesso pagare il biglietto d’ingresso?”. Si, c’è la fila al box office!
Chi sarà il protagonista questa volta? Avanti il prossimo! L’Iran? Il Pakistan?
Dopo aver fatto fallire l’Afghanistan e l’Iraq è stata la volta delle primavere arabe e delle rivoluzioni colorate. Poi fu il turno di Gheddafi che, secondo i giornali, sembrava fosse improvvisamente impazzito perché bombardava la sua popolazione per gettarla nelle fosse comuni. “Siamo venuti, abbiamo visto, è morto” disse in un’intervista Hilary Clinton visibilmente divertita.

Dopo aver reso un inferno la Libia, il paese più sviluppato dell’Africa, è stata la volta di Assad e della rivolta siriana dove, sempre secondo il racconto dei giornali, la popolazione veniva soffocata e gasata con armi chimiche dal despota. E se non fosse stato per la smentita dei russi sulla provenienza di quelle armi chimiche, Bashar al-Assad avrebbe fatto la stessa fine di Saddam e di Gheddafi con il beneplacito dell’Onu.

Stacco.
Da tempo avevo iniziato a dubitare dei giornali italiani convinto che fossero un megafono di propaganda statunitense.
Mi sembravano di parte perché spesso traducevano e pubblicavano articoli del Washington Post, del New York Times o peggio della CNN e di Fox News e non comprendevo il perché di questo loro dichiarato schieramento. Che abbia ragione Fulvio Grimaldi quando parla di “giornalismo da saliva”?

Da mie esperienze personali ho imparato che se davanti ad un italiano critichi il malfunzionamento del suo paese ti dice: “Hai ragione, purtroppo…” ma se rivolgi le tue critiche all’America lui si inalbera come se gli avessi offeso la madre e comincia a difenderla facendoti sentire un complottista o peggio ancora un terrorista.
La risposta all’ovvia domanda si annida nella storia della seconda guerra mondiale quando gli americani liberarono l’Italia dal nazifascismo e risalirono lo stivale distribuendo cioccolata.

Il piano Marshall legò l’Italia con un cordone ombelicale e la rese una provincia americana. È innegabile che la liberazione dal ventennio fascista abbia comportato per l’Italia sessant’anni di occupazione militare vista la presenza di un centinaio di basi militari americane sul suolo italico.
Far parte della Nato ha significato di fatto la svendita della propria sovranità nazionale. Da allora l’Italia non è mai stata più indipendente. Unica eccezione quella di Bettino Craxi che con la faccenda di Sigonella si ribellò agli americani non consegnandogli i quattro terroristi palestinesi dell’Achille Lauro.
Chissà per quanti anni ancora l’Italia dovrà ubbidire al suo padrone!
Un padrone così abile da creare alla bisogna Al Qaeda, Isis, Boko Haram, Al Shabab ed altri gruppi estremisti, questa cosa non esclude che persino le Br possano esser state una loro creazione! E se questa tesi fosse vera allora potrebbe venire messo in discussione il compromesso storico e i suoi governi della prima e della seconda repubblica alla faccia di Mazzini, Cavour e Garibaldi!

Il colpo di scena.

Interno ufficio giornalistico di Roma o di Milano, giorno
Comodamente seduti nei loro uffici, quasi fossero gli eredi di Salgari che con La Tigre della Malesia riuscì a descrivere un mondo senza esserci mai stato, i giornalisti italiani iniziarono a demonizzare l’Eritrea, il mio Paese! Un lavoro quotidiano mirato a distruggere il nuovo “cattivo” di turno, il Presidente Isayas Afewerki considerato dagli eritrei un leader illuminato, incorruttibile ed unico in Africa.
Incredulo, iniziai a preoccuparmi molto.

“Perché mai i giornalisti italiani dovrebbero scrivere menzogne sul mio Paese senza neppure esserci mai stati?” mi chiedevo confuso. Perché tra i 54 Stati africani hanno scelto all’unisono di scrivere così assiduamente le peggiori cose proprio sull’Eritrea? Chi glielo ha ordinato? La risposta era scontata dal momento che parlando dell’Eritrea ripetevano meccanicamente i soprannomi coniati dagli americani stessi: “Corea del Nord Africana”, “Prigione a cielo aperto” e “Inferno sulla terra”. Copiandosi a vicenda, con un taglia e cuci degno di una sartoria multinazionale, diffamano l’Eritrea anche se non saprebbero nemmeno indicarla sulla carta geografica.
“Ma sei indiano? No, sono africano. Perché l’India dove sta?”
Ma se, come dicono loro, in Eritrea si torturasse la popolazione da mane a sera perché a nessuno viene in mente di definirla per esempio: “La Guantanamo del Corno d’Africa” oppure “L’Abu Ghraib africana”? Beh no, quelle sono torture democratiche!

E se i padroni del mondo hanno deciso di aggredire l’Eritrea a fare il lavoro sporco arrivano, ancor prima dei marines, i giornalisti schierati come veri soldati da trincea e pronti a combattere per un tozzo di pane.
Nei loro bugiardi articoli non menzionano mai gli investimenti del governo eritreo sulla salute pubblica, della mortalità infantile azzerata e delle malattie secolari debellate, dell’istruzione gratuita dall’asilo all’Università, dello sviluppo eco sostenibile e della feroce battaglia per fermare l’avanzamento del deserto. Non parlano nemmeno del futuro dei giovani eritrei liberi dai debiti dell’IFM quando i loro figli nascono già indebitati di 30.000 euro ciascuno.

In verità che cosa sanno dell’Eritrea i giornalisti italiani oltre che il suo piatto tipico è lo zighinì e che è molto piccante? Sanno, ad esempio, che abbiamo raggiunto il traguardo degli Obiettivi del Millennio, UNDP, con le centinaia di dighe costruite per avere la sicurezza alimentare? Sono informati sulla nostra filosofia del Self-Reliance o auto sufficienza che ci insegna a non mendicare ma piuttosto a lavorare? L’Eritrea è infatti l’unico paese africano che rifiuta gli “aiuti” umanitari dell’USAID e lo stesso non ha nessun bambino che muore per malnutrizione. L’Eritrea ha di fatto bandito dal Paese tutte le organizzazioni non governative e i loro aiuti “vita natural durante”, mirati ad impoverire l’Africa.
Ed è questo che non è mai andato a genio alle Ong occidentali abituate a dire agli africani: “Se non gradisci che io resti qui è perché vuoi negare i diritti umani alla tua popolazione”. Andandosene via a malincuore non hanno mai perdonato al governo eritreo di creare un precedente che sarebbe stato di cattivo esempio per altri paesi africani. Serve il regime-change!

L’ingratitudine italica.

Flashback. Gente ingrata questi giornalisti italiani, mercenari della dis-informazione, soldati dalla memoria corta, costoro non hanno nemmeno l’umiltà o l’onestà intellettuale nonché la curiosità di voler conoscere l’Eritrea e le sue ragioni. Avrebbero dovuto provare una sorta di gratitudine nei confronti degli eritrei, avrebbero dovuto sentirsi in debito e provare vergogna per aver mancato di rispetto a quelle centinaia di migliaia di Ascari che morirono per le loro manie di grandezza. Se non fosse stato per gli eritrei non avrebbero mai conquistato la Cirenaica e la Tripolitania, la Somalia e l’Etiopia. Fu grazie agli eritrei che assaporarono il sogno di essere un Impero ed ebbero il loro posto al sole. Ma non è certo colpa degli Ascari eritrei se poi hanno perso la testa e con essa la seconda guerra mondiale e le loro tre colonie. Di sicuro per gli eritrei iniziò un calvario che dura tuttora.

Gli inglesi regalarono il bottino di guerra al monarca etiope Haile Sellassie e fu con la complicità degli Usa  e il silenzio dell’Onu che ci ritrovammo etiopici, prima federati e poi annessi. Le conseguenze della vostra colpevole goliardia ci ha visti protagonisti di trent’anni di guerra, la più lunga lotta di liberazione africana in cui morirono 70.000 eritrei. Questa è stata la vostra maledetta eredità. Alla fine, però, vincemmo quella guerra nel 1991 e sancimmo nel 1993 la nostra Indipendenza nonostante la vostra ingratitudine che vi portò ad aiutare e finanziare il colonnello Menghistu Hailemariam che continuava ad ucciderci. E oggi schierandovi con l’Etiopia, i vostri nemici del passato, quelli della battaglia di Adua per intenderci, tornate a fare una guerra mediatica alla vostra ex colonia primigenia.

Quotidianamente bombardate l’Eritrea con parole al veleno coprendola d’infamia e quando non avete notizie traducete articoli menzogneri e propagandistici prendendoli direttamente dai siti online etiopici. Così facendo, state rovesciando il corso della storia volendo annullare i nostri 30 anni di lotta di liberazione per consegnare l’Eritrea all’Etiopia confezionata in un bel pacco regalo perché se la riannetta. Dimenticate che dal 2002, cioè da ben 13 anni, una parte del territorio sovrano eritreo è occupato dalle forze militari etiopiche nonostante gli accordi di Algeri  di cui l’Italia è uno dei paesi garanti. Accordi finali e vincolanti in cui la Commissione EEBC delle Nazioni Unite ha assegnato definitivamente quei territori all’Eritrea e dai quali l’Etiopia rifiuta di ritirarsi contravvenendo alle regole internazionali. Nel frattempo i tigrini al potere in Addis Abeba minacciano l’Eritrea di un’ennesima guerra, soprattutto dopo l’ultima visita di Obama, l’Attila d’oltreoceano, che pare abbia dato semaforo verde per un nuovo attacco.
Se fossimo davvero minacciati di una nuova guerra che metterebbe in discussione la nostra indipendenza, la nostra sovranità e la nostra bandiera, ovviamente non dovreste più ritenervi neutrali e super partes. Non sarete diversi dai soldati etiopici.

Ma quale democrazia?
Soggettiva.

Io nipote di un ascaro, io sì che posso dire di conoscere l’Italia. Conosco bene la sua lingua, i suoi dialetti e i suoi proverbi, conosco la sua cultura e la sua arte, i monumenti, la letteratura, la musica dei cantautori e quella underground, il cinema dei grandi registi e degli attori che non ci sono più, il suo teatro, i suoi musei, le sagre e le fiere, le feste patronali, le sue manifestazioni di piazza, la sua Storia e la sua Costituzione, il mondo del lavoro e dei centri sociali, i suoi anziani e i suoi ospedali, la cucina, la politica, i giornali e i giornalisti, lo sport e la Magica Roma.

Ma conosco anche i problemi che l’affliggono. È da quando sono arrivato che il Bel Paese è governato dalla mala politica, da gente che cambia partito come cambia la camicia, da mafie di ogni genere, un paese dove regna l’omertà, il pizzo, la corruzione, un paese di raccomandati dove non è riconosciuta la meritocrazia, un paese delle morti bianche, del lavoro nero, del caporalato che sfrutta lavoratori africani nei campi di pomodoro, un paese di tangenti, ricatti, estorsioni, favoritismi, do ut des, una mano lava l’altra, dello scambio di voti, degli appalti truccati, un paese dove regna l’abusivismo, si evadono le tasse, si muore sulle strisce pedonali, si rubano i bambini e si uccidono le donne, un paese dove i migliori cervelli scelgono di emigrare altrove e chi rimane fa il precario.

Sono arrivato in Italia e mi son reso subito conto che non era quella stessa di Dante, di Leopardi, di Michelangelo e di Leonardo che tanto avevo studiato e sognato. Non è neanche più l’Italia di De Filippo, di Totò, di Fellini e di Mastroianni, di De Andrè e di Giorgio Gaber. Non è più l’Italia di Pertini e di Berlinguer, di Falcone e di Borsellino. Non è più l’Italia degli scienziati e dei premi nobel, di Guglielmo Marconi e di Enrico Fermi. Quell’Italia è morta e sepolta per lasciare spazio ai Riina, agli Schettino, a Mafia Capitale, ai politici corrotti e ai giornalisti ruffiani e servi del potere. È un’Italia mediocre questa, mediocre ma democratica.
Ma che paese democratico è il vostro quando vige la censura, quando lo Stato impedisce le manifestazioni di piazza, quando la legge non è uguale per tutti e premia i furbi che rubano miliardi e ingabbia chi ruba una mela? È una democrazia solo perché si è chiamati alle urne ogni anno e mezzo? È una malsana democrazia questa, degna di una repubblica delle banane!

Libertà di stampa, da quale pulpito.

Carrellata indietro.  Nonostante la mia antipatia per l’Imperatore Haile Sellassie quei gesti e quelle urla per impedirgli di parlare alla Società delle Nazioni furono, dal mio punto di vista africano, vergognose e antidemocratiche. Gli fu negato il diritto umano che un Capo di Stato deve avere per poter difendere il suo paese da un’aggressione militare. Buon sangue non mente! Con lo stesso metodo antidemocratico, voi negate oggi all’Eritrea quello stesso diritto a difendersi dalle vostre aggressioni mediatiche e accusate tutta la Comunità Eritrea residente in Italia di essere “filo regime”, “collaborazionista”, “spia”, eccetera, eccetera. Accusate gli altri di dittatura quando la vostra democratica libertà di stampa è solo un monologo senza contraddittorio. Siete i primi a censurare la nostra voce cancellandola e bloccandola sui social network di modo che possiate continuare indisturbati a parlare male di noi. “Your comments awaiting for moderation” è la vostra regola. E quando, nel disperato tentativo di tapparci la bocca, urlate: “Fascista!” ad un africano, non crediate che la storia venga riscritta da capo e il vostro nefasto passato trasferito alle vittime. Non esiste il mondo alla rovescia, i carnefici rimangono carnefici e le vittime rimangono vittime. È un vano tentativo voler fare il remake di un vecchio film già brutto all’origine.

Il potere dei più buoni.

Oramai c’è una perenne gara tra i giornalisti fatta sulla pelle dei disgraziati su chi sia più buono e più umano degli altri. Per dirla con le parole di John Pilger: “Chi vi da il diritto di fare quello che state facendo in giro per il mondo?” tutti risponderebbero convinti: “Lo facciamo per i diritti umani”.
Grazie alle guerre occidentali i giornalisti si sono scoperti così “santi” da fare ogni anno a gara per vincere il premio Miglior Paladino dei diritti umani. Vincono quelli che, con articoli o fotografie, descrivono civili fatti a pezzi dalle bombe. Ovviamente il premio è direttamente proporzionale alla durata e all’intensità della guerra, più è alto il numero dei morti più ci sarà fama e gettoni d’oro.
“Il premio Miglior Umanitario 2015 va al settimanale…” Standing ovation, applausi scroscianti.
E sono le organizzazioni non governative internazionali d’oltreoceano, coinvolte da decenni nella politica del regime-change, nelle rivoluzioni colorate e nelle primavere arabe, a finanziare questi concorsi e premi giornalistici sostanziosi. In pratica delle autentiche mazzette. Bingo!
Per contraccambiare, i giornalisti italiani citano nelle loro menzogne come fonti credibili le stesse Ong e attribuiscono a queste una sacrosanta verità incontrastabile e come giaculatorie ripetono: “L’ha detto Amnesty”, “Lo ribadisce Human Right Watch”, “Secondo la classifica di Reporters sans frontières o di Médecins Sans Frontières”.
Per la cronaca tutte queste organizzazioni sono finanziate dalla Open Society Foundation di quel sant’uomo di George Soros, autore di speculazioni miliardarie e rivoluzioni colorate sanguinarie.
I giornalisti trasformati in attivisti dell’Umanitario continuano a gridare: “Venite, venite!” pur sapendo che il loro buonismo fa da “pool factor” e richiama in Europa centinaia di migliaia di disperati dall’Africa. Non vogliono ammettere che in realtà stanno uccidendo loro i migranti annegandoli in quel maledetto mare e trasformando i sopravvissuti del naufragio in zombie buttati sui marciapiedi delle stazioni delle grandi città. L’Italia non ha né le capacità né la voglia di fare una buona accoglienza, se lo fa la ragione c’è ma è un’altra: il solito magna magna all’italiana.

Troppi sciacalli si contendono lo stesso osso.

Scena sequenza. L’Immigrazione e la crisi dei rifugiati crea lavoro per molti italiani che si occupano di questo problema fingendosi “volontari”. Dagli addetti all’accoglienza, ai giornalisti, ai fotoreporter, agli attivisti delle Ong, agli opinionisti e africanisti in TV, ai trafficanti di esseri umani, tutti mordono e spolpano il loro boccone. L’immigrazione in Italia rende più della droga. Per la maggior parte dei giornalisti si tratta soltanto di un semplice dovere: “Il lavoro è lavoro”, il servizio che alla fine del mese gli garantisce un signor stipendio. Dai loro articoli e fotografie di cadaveri non traspare infatti nessuna umanità, sono scatti freddi, cinici e crudeli. Sono parole ripetitive e senza emozione. Sono dei moderni becchini armati di telecamere, di tablet e cellulari, esperti dei social network che riescono a trasformare ogni “mi piace” in un guadagno economico. Pur di guadagnare di più non si fanno scrupoli a sguazzare assieme ai cadaveri che galleggiano in quel cimitero liquido rosso-sangue. Sono lì per pescare la loro storia, il loro scoop e poi corrono a vendere il prodotto al miglior offerente. Nonostante i denti aguzzi non si sentono dei vampiri. È la loro democrazia a garantirgli questa liberta di stampa.
Eppure il visionario Giorgio Gaber li aveva inquadrati bene già nel 1980 quando li definì: “Cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti e si direbbe proprio compiaciuti, voi vi buttate sul disastro umano col gusto della lacrima in primo piano”.

Il backstage dell’esodo.

“Allora perché i giovani fuggono dall’Eritrea?” questa è la domanda da un milione di dollari e la risposta più banale sarebbe: “Per colpa del regime più feroce del mondo”.
Ma così la sceneggiatura è troppo debole, troppo scontata. Questo è il punto di vista occidentale che finirà per annoiare lo spettatore. Che ne è dell’altra faccia della medaglia, quella africana per esempio? Siamo davvero sicuri che le cose non siano invece diverse da come appaiono? E se il tutto fosse stato organizzato per indebolire il governo eritreo? Ed è qui che la storia si fa più avvincente, sconvolgente e disarmante.

Da tempo il governo eritreo vuole richiamare l’attenzione delle Nazioni Unite e propone l’apertura di un’indagine indipendente sul traffico di esseri umani dall’Eritrea verso l’Europa affermando di possedere prove sufficienti e schiaccianti circa gli autori insospettabili con tanto di nomi e cognomi. Ma l’Onu non intende aprire quest’inchiesta indipendente per non scoperchiare le proprie pentole e minare la sua credibilità.
Chi c’è veramente dietro le quinte? Chi è il vero regista? Cui prodest?

“Recentemente abbiamo rinnovato le sanzioni su alcuni dei paesi più tirannici tra cui Corea del Nord e Eritrea, abbiamo partnership con i gruppi che aiutano le donne e i bambini a scappare dalle mani dei loro aguzzini, stiamo aiutando altri paesi ad intensificare i loro sforzi e vediamo dei risultati…” ribadiva nel suo discorso il Presidente Obama al Clinton Global Initiative.
È ovvio che la strategia è quella di svuotare l’Eritrea del suo futuro: i suoi giovani. Si, proprio quelli che arrivano a Lampedusa sopra i barconi rischiando ogni volta la morte. Nessuno può negare che l’Etiopia, alleato americano numero uno, voglia un accesso al mare eritreo che può conquistare facilmente senza più i giovani a difenderne i suoi confini. Così come non si può negare che gli Usa vogliano una base militare in Eritrea per sfruttarne la sua posizione strategica.

Ma l’Eritrea, al contrario dei suoi vicini, è ancora libera e sovrana e non ospita basi militari americane né i militari americani di AFRICOM presenti in tutta l’Africa.
A questo punto, per tenere desta l’attenzione del pubblico, bisogna sorprenderlo creando la suspense con un altro colpo di scena.

Nei campi profughi dell’UNHCR scorrazzano tutti i protagonisti del regime-change: agenti dei servizi segreti, Ong, giornalisti, fotoreporter. La loro missione umanitaria è quella di schedare le persone, estorcere informazioni, nascondere la verità, in altre parole mettere altra legna e soffiare sul fuoco per destabilizzare ulteriormente il paese da cui si fugge.
Più di qualche ragazzo passato per quelle tendopoli mi ha confessato che lì dentro trovano ad aspettarli veri lupi travestiti da pecore.
“Facilitare il completo accesso ai campi UNHCR ai richiedenti asilo eritrei” sono le categoriche disposizioni di Human Right Watch ai governi di quei paesi che ospitano i campi profughi.
Nella relazione del settembre 2014 lo stesso scriveva: “I rifugiati eritrei sono diventati una fonte importante di informazioni sulla situazione dei diritti umani in Eritrea dato che l’Eritrea non ha permesso la visita del paese ai relatori speciali delle Nazioni Unite e ad altri investigatori internazionali dei diritti umani”.
Con la scusa delle ritorsioni del governo eritreo sui loro familiari, vengono nascosti identità e i loro veri nomi, altri ne vengono scelti e tra quelli più facili da pronunciare perché l’opinione pubblica ci familiarizzi, più saranno corti migliore sarà la loro comprensione. E così vengono pubblicati nomi come Dawit, Abel, Sara, Musie, Haile. E anche vero che nemmeno il giornalista sarebbe capace di scrivere un Ghebremedhin, un Habtemariam o un Abdelkadir.

Pull factor.

Noi eritrei della diaspora conosciamo bene la situazione economica delle famiglie in Eritrea e sappiamo che 100 euro al mese fanno una bella differenza. Quei ragazzi sanno che solo firmando “C’è dittatura” riescono ad avere i documenti e quei 100 euro da mandare a casa loro. Anch’io lo farei al loro posto, anzi per quel documento confesserei pure di aver ucciso Bin Laden. I giornali sottovalutano e offendono l’intelligenza dei lettori perché lo sanno che per avere un documento di soggiorno bisogna essere perseguitati politici e non essere semplici migranti economici.
Per questo, una volta sbarcati a Lampedusa fanno di tutto per scappare anche dall’Italia considerata povera di welfare mentre il Nord Europa è più ricco e generoso. Se scappano dall’Italia (povera) perché allora la povertà in Eritrea viene invece considerata dittatura dopo due guerre con l’Etiopia durate quasi 40 anni e due sanzioni delle Nazioni Unite?
Un altro fattore attrattivo per i giovani eritrei è lo status di rifugiato dato esclusivamente all’Eritrea nonostante in Africa ci siano paesi più sfortunati.
La politica del prima facie agli eritrei a cui Italia e UE hanno aderito, sottomettendosi al diktat d’oltreoceano e rischiando una vera e propria invasione, sta richiamando sempre più disgraziati da tutta l’Africa, specialmente etiopici che ovviamente si dichiarano eritrei vista la somiglianza nella fisionomia. Ma questo fenomeno viene ignorato dalle statistiche dell’UNHCR e dai resoconti dei giornalisti interessati a ribadire che l’esodo è tutto eritreo. Fate vobis.

Per un pezzo di carta quei poveracci, anche minori non accompagnati, devono ripetere quello che è scritto sul copione: “Sono scappato dalla leva a tempo indeterminato”. Anche ora che il National Service è tornato ad essere di 18 mesi scapperanno lo stesso per non smentire appunto quelle motivazioni precompilate. Ma nel gruppo degli sbarcati ci sono anche loro, gli infiltrati tigrini d’Etiopia che non vogliono essere soltanto delle semplici comparse ma scelgono consapevolmente di rappresentare “l’opposizione” al governo eritreo. I più scaltri imparano da subito nelle lingue più disparate (scandinave, tedesche, francesi o italiane) come si dice tortura, prigione, lavori forzati e persecuzione religiosa. Per loro il contratto prevede più soldi, documenti veloci, sistemazione e lavoro da “oppositore”. Per esempio in Italia fanno conferenze stampa alla Camera dei Deputati grazie ad alcuni politici della sinistra “umanitaria” e ovviamente alla presenza dei giornalisti che fungono da amplificatori per farli sentire come fossero in maggioranza.

I veri eritrei sono consapevoli della guerra mediatica contro l’Eritrea ed è per questo che hanno manifestato di recente a Ginevra contro il COI, la commissione d’inchiesta dell’Onu che si è recata in Etiopia ad intervistare i rifugiati eritrei. Come dice Beaton Galafa: “È come intervistare un disertore nordcoreano a Seul”.

Ma torniamo alla storia principale perché questo sarebbe un sub-plot, cioè una storia secondaria.
“Se i giovani fuggono dalla dittatura eritrea allora perché non si stabiliscono nei campi profughi UNHCR sorti oltre il confine in Etiopia, Gibuti e Sudan?”. I campi profughi nei tre paesi confinanti con l’Eritrea godono di posizioni strategiche e sono stati allestiti proprio per attrarre i giovani a recarvisi. L’Eritrea non può invadere militarmente i tre paesi, se lo avesse fatto sarebbe già scoppiata più di una guerra con i vicini. Una volta superato il confine i giovani sono finalmente liberi, sfuggiti alle “grinfie dell’oppressore” e finalmente sotto la protezione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite. Per quei ragazzi la “famigerata dittatura eritrea” finisce col varcare i cancelli di quei campi profughi, potendo dirsi in salvo tra le sicure braccia dell’UNHCR dove possono essere puliti, vestiti e nutriti. Una pacchia insomma.
Allora perché intraprendere quell’infernale viaggio? Allora si fugge anche dalle materne braccia dell’UNHCR? Perché? Cosa succede lì dentro?.

Dalle confessioni dei profughi si capisce come vengano indirizzati a camminare nel deserto e ad attraversare il mare proprio dagli operatori e dagli attivisti delle Ong, sono proprio loro a dargli le giuste indicazioni.
Ma perché allora non vengono caricati sugli aerei dell’Onu e trasportati in tutta sicurezza verso i paesi europei dove poi gli verrà riconosciuto lo status di rifugiato? Perché il viaggio deve essere per forza a piedi o su mezzi di fortuna se comunque saranno accolti in Europa? L’Unione Europea li accoglie soltanto se sopravvivono al Mar Mediterraneo?
Non ci vuole una laurea per rispondere a questa domanda.
Serve la tragedia per raggiungere l’obiettivo del regime-change!

La tragedia perfetta.

Il tragitto è una corsa ad ostacoli e, come fosse un presepe gigante, il percorso viene arredato da personaggi il più crudele possibile: beduini trafficanti di organi, guardie e prigioni nei paesi che si affacciano sul mare, trafficanti di esseri umani che organizzano la traversata, scafisti che pilotano carrette del mare che sono concepite come vuoti a perdere, giornalisti e fotoreporter pronti ad informare l’opinione pubblica e, dulcis in fundo, anche i tagliagole dell’Isis.

Per l’aggressione nei confronti dell’Eritrea e lo svuotamento del Paese dai suoi giovani sono stati coinvolti centinaia di trafficanti di esseri umani, decine di attivisti dei diritti umani “indigeni” con telefoni satellitari e persino preti e suore più santi di Madre Teresa di Calcutta che portano avanti il discorso religioso sulla “mancanza del diritto di culto” che improvvisamente vige in Eritrea nonostante Cristianesimo e Islam abbiano convissuto da secoli in armonia e pace.

Si porta avanti il compito lavorando in simbiosi con un gioco di squadra ben coordinato, ognuno contribuisce bene e meglio al progetto geo-politico occidentale affinché aprire un nuovo fronte di guerra possa essere giustificato. Perché, in democrazia, per bombardare qualcuno ci vuole il consenso popolare. In democrazia il consenso è tutto e per riuscirvi bisogna portare dalla propria parte l’opinione pubblica che poi sono gli elettori democratici. E per convincere gli elettori può non bastare informarli sulla bestialità del nemico, per convincerli bisogna creare la tragedia perfetta. E la tragedia deve arrivare in tutto il mondo in pochissimo tempo e questo si riesce a fare soltanto attraverso il miracoloso potere dei mainstream media. In questo i giornalisti italiani giocano in casa.

La goccia che fa traboccare il vaso.

Esterno, Mar Mediterraneo – notte. Come nei migliori thriller la tragedia rappresenta il climax finale, quando deve succedere qualcosa di terribile e sale l’ansia dello spettatore. Di li a poco capiterà qualcosa che farà piangere e smuovere tutte le coscienze, susciterà sdegno e provocherà una reazione unanime: sete di giustizia e di vendetta.
E nella tragedia che sta per inscenarsi succede sempre la stessa cosa e cioè i soccorsi non arrivano mai in tempo. Succede lo stesso nelle tragedie in mare. Chi si è recato sul posto per primo dichiara che la causa dell’affondamento è sempre la stessa: i migranti si sono spostati tutti da una parte per sbilanciare la carretta e morire annegati. Un suicidio collettivo, dunque? Fanno giorni di viaggio in perfetto equilibrio e proprio quando si avvicina qualcuno per soccorrerli loro si sbilanciano ed annegano. Nessun sospetto che qualcuno possa averli urtati incidentalmente o peggio volutamente?
Questo nel film non si vede.
La tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013 in cui morirono 366 persone non ha scioccato più di tanto l’opinione pubblica sia italiana che internazionale. Agli italiani abituati a desinare davanti alla tv non ha certo impedito di continuare a masticare e a mandare giù il boccone. Evidentemente ne servirà una molto più grande con migliaia di vittime in stile Titanic. Solo allora ci sarà una sollevazione popolare che scatenerà una violenta reazione a catena che porterà a chiedere alla Nato un intervento in nome dei diritti umani. Nonostante il fragore delle Ong e dei giornalisti, recatisi sul luogo dell’omicidio per fare il bagno nel sangue degli innocenti, la tragedia si è trasformata in uno spettacolo televisivo con tanto di interruzioni pubblicitarie e passerelle di politici.
La tragedia è diventata showbiz.

Never kneel down, non ci inginocchieremo mai.

Panoramica: Tribunale internazionale stracolmo dei giornalisti che in questi anni hanno infangato il nome dell’Eritrea. La lista è davvero lunga. Molti sono quelli che hanno mangiato a quattro ganasce sulla pelle dei poveracci. Ora quegli stessi giornalisti, asciugandosi la fronte alle domande scomode della pubblica accusa, balbettano: “Può ripetere la domanda, per favore?” Avreste almeno dovuto fare un mea culpa come il vostro collega tedesco Udo Ulfkotte. Ma oramai è tardi. La verità è venuta a galla perché l’Impero del Male è caduto come sono caduti quelli di Giulio Cesare, di Alessandro Magno, di Napoleone, di Hitler e di Mussolini. Ed eccoli ora i signori giornalisti dietro la sbarra degli imputati accusati di crimini contro l’umanità.

Quest’oggi si celebra la Norimberga della Stampa, non è certo una posizione invidiabile la loro.
Primissimo piano L’immigrato eritreo nei panni del pubblico ministero li mette sotto pressione: “Perché fomentavate l’odio applicando il dividi et impera e avete di fatto contribuito alla distruzione di culture e di paesi sovrani? Perché avete fatto sterminare intere popolazioni senza mai provare alcun rimorso? Perché avete sempre mentito, depistato e nascosto i crimini dell’Impero nonostante la vostra deontologia ve lo vietasse? Perché avete corrotto l’opinione pubblica inducendola a giustificare e legittimare quei crimini?”
“Obiezione Vostro Onore!”
“Obiezione respinta!”
“In ognuna di quelle guerre che i “salvatori” hanno provocato in giro per il mondo, cari giornalisti, c’è il vostro indelebile inchiostro stampato nero su bianco. Verba volant, scripta manent!
Voi avete firmato tutte le tragedie umane degli ultimi decenni in cambio di privilegi personali. Voi avete bombardato per primi le città poi, a finire l’opera, sono arrivati i marines ed è per questo, al pari loro, che oggi siete accusati di crimini contro l’umanità.
Se solo vi foste fermati un momento a riflettere avreste capito che l’Eritrea era diversa dagli altri paesi. Vuol dire che non avete capito nulla, vuol dire che avete sottovalutato il valore di questo popolo eroico. In passato vi avevano già dato la vita dei loro padri e dei loro nonni senza ricevere nulla in cambio se non la vostra ingratitudine, ora non vi daranno il futuro dei loro figli. Il destino dell’Eritrea appartiene soltanto al suo popolo perché sono stati decine di migliaia i martiri morti per la sua libertà e per la sua bandiera. E per onorare quei martiri gli eritrei hanno fatto un giuramento: pagheranno con lo stesso sacrificio pur di tramandare quella patria ai loro figli. Mai ammaineranno la loro bandiera e anzi la difenderanno con i denti e con le unghie.
Dovevate sospettarlo che gli stessi giovani eritrei che avete ricattato in cambio di un misero documento di soggiorno sarebbero tornati a difendere il loro Paese. Perciò, avete fatto male a illudervi, signori giornalisti, di poter vincere questa guerra, dovevate rammentarvi di un popolo che ha vinto una guerra trentennale lottando contro tutto e tutti a cominciare dal più grande esercito d’Africa affiancato da: URSS, Usa, Germania Est, Cuba, Libia, Israele, Yemen, Gran Bretagna e persino dall’Italia.”

Dissolvenza…

 

Marilena Dolce

Marilena Dolce, giornalista. Da più di dieci anni viaggio verso il Corno d'Africa e da altrettanti scrivo ciò che vedo. Soprattutto per Eritrea ed Etiopia ma non solo. Dal 2012 scrivo per EritreaLive, notizie e racconti in diretta dall'Eritrea. Perchè per capire il mondo bisogna uscire dal proprio quartiere, anche solo leggendo.

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