Eritrea, Isole Dahlak, storie di uomini, navi, guerre
Marilena Dolce
13/11/12
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L’Eritrea, un paese relativamente piccolo con un’estrema verietà geografica, tiene in serbo, per chi dall’altopiano scende sulla costa e affronta il rosso del mare, più di duecento isole: l’Arcipelago delle Dahlak.
Vincenzo Meleca, autore di Storie di uomini, di navi e di guerra nel Mar delle Dahlak,
Greco&Greco editore, presenta a Milano il suo nuovo libro nel quale
racconta una parte di storia meno conosciuta di queste isole dal fascino innegabilmente austero. Isole belle, incontaminate e selvatiche come scrive la Lonely Planet, dove Folco Quilici ha girato buona parte di Sesto Continente e di cui Gianni Roghi narra, nel libro Dahlak, le vicende della prima spedizione subacquea italiana.
Divenuta colonia il 1 gennaio 1890 con decreto di Francesco Crispi, presidente del consiglio, i possedimenti acquistano il nome di Colonia Eritrea su suggerimento di Alberto Pisani Dossi, capo di gabinetto agli esteri, per le sfumature rosse (erythros) del mare.
Da allora la storia d’Eritrea affiancherà la nostra, fino allo smantellamento, nel 1942, delle colonie dell’Africa Orientale Italiana.
Perciò, il Mar delle Dahlak, diventa lo scenario lontano e interessante della vita e delle storie di molti soldati eritrei e italiani, come il tenente di vascello Angelo Belloni che trasforma il Galileo Ferraris, ormai disarmato, nel primo e unico sommergibile da commercio, oppure come Ibrahim Mohammed Farag, balucbasci della Regia Marina, imbarcato sul cacciatorpediniere Manin, insignito di medaglia d’oro al valore per l’eroico comportamento.
Uomini e sambuchi, una storia intrecciata: nel 1903 si costituisce una squadriglia di regi sambuchi, imbarcazioni leggere, lunghe dai 18 ai 25 metri, capaci di fronteggiare la pirateria araba e yemenita e affrontare in sicurezza i bassi e insidiosi fondali marini.
Imbarcazioni con equipaggi misti, composti da ufficiali e sottufficiali italiani e marinai eritrei, armate di cannoni di piccolo calibro. Dopo l’apertura del Canale di Suez, infatti, la Regia Marina decide di arruolare ascari presenti a Massawa perché, diversamente dagli ascari di fanteria, gente dell’altopiano, sono in grado di affrontare meglio il mare e il clima torrido della costa.
Oggi i sambuchi possono essere il mezzo con il quale raggiungere le Isole Dahlak per trovare traccia del passato bellico e dei moltissimi relitti inabissati, navi dimenticate che testimoniano quanto fosse importante il porto di Massawa.
Durante la seconda guerra mondiale, quando ormai la sorte dell’Italia è segnata, le navi che ancora sono vicine alla costa eritrea si spostano verso la più grande delle isole, Dahlak Kebir, per autoaffondarsi e non essere preda del nemico inglese.
Non conosciamo ancora i luoghi precisi dove molte di loro sono affondate, però si ritiene che l’arcipelago sia una sorta di cimitero delle navi, con un fondale ricco di relitti, forse una settantina.
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