Eritrea l’orgoglio dell’indipendenza (1991-2022)
Trentuno, dal 1991 ad oggi sono gli anni d’indipendenza che festeggia con orgoglio l’Eritrea.
“Independent Choice-Backbone of Our Pride”, è il motto di quest’anno. Un’indipendenza costata lotta, sacrifici, vite.
Questo maggio, dopo due anni di fermo per colpa della pandemia, l’indipendenza tornerà ad essere festeggiata nelle città, per le strade, tra la gente. Con ancora cautele ed attenzioni l’orgoglio nazionale potrà sfilare e mostrarsi, come in passato.
In Eritrea i festeggiamenti sono già iniziati con l’accensione a Dekhamere della torcia simbolica, mentre il gran finale sarà allo Stadio di Asmara.
Nel resto del mondo, in Europa e ovunque siano presenti comunità eritree, tra la terza e l’ultima domenica di maggio, la diaspora si ritrova per festeggiare il 24 maggio, la data più importante del calendario.
È quello infatti il giorno in cui, trentuno anni fa, i guerriglieri del Fple (Fronte Popolare di Liberazione Eritrea) entrano nella capitale Asmara, che finalmente sarà liberata dall’oppressione.
Ma perché l’Eritrea ha dovuto combattere per ottenere l’indipendenza?
Per rispondere è necessario fare un passo indietro. Nel 1941 l’Italia perde, dopo la battaglia di Keren, la seconda guerra mondiale e le colonie. L’Eritrea che, dal 1890, era stata italiana passa perciò sotto l’amministrazione inglese, che non è interessata al territorio. Gli inglesi considerano l’Eritrea una creazione artificiale che propongono di dividere in due, la parte cristiana all’Etiopia, quella musulmana al Sudan.
Gli eritrei rifiutano queste a altre simili politiche. Nel 1971, nel documento “Noi e i nostri principi”, scrivono che le differenze interne al Paese non saranno d’impedimento all’unità.
Sono parole coraggiose espresse in anni in cui la bandiera eritrea non esisteva più, sostituita da quella etiopica. L’Eritrea era diventata, con il beneplacito dell’Europa e dell’America, la 14°provincia dell’impero del negus Hailè Selassiè.
In quel periodo i giovani eritrei, uomini e donne, combattono per il loro paese, per la libertà, per la futura indipendenza, aderendo alle formazioni clandestine di lotta.
Ragazzi e ragazze seri, scrupolosi, diffidenti verso i pochi giornalisti occidentali arrivati nel Paese per capire gli accadimenti di una guerra che non credono possano vincere, come invece accadrà.
Intano nel 1974 in Etiopia un colpo di stato militare caccia l’imperatore Hailè Selassiè e insedia il Derg, con a capo il colonnello Menghistu Hailè Mariam.
Il loro motto è Ethiopia Tikdem, Etiopia innanzi tutto. Niente di buono per l’Eritrea e, per capirlo, bastano alcuni numeri. In quello stesso anno ad Asmara la popolazione conta circa 200 mila persone che, nel 1977, scenderanno a novantamila. Chi non combatte fugge, anche per aiutare la lotta dall’estero.
Il 22 marzo 1977 Nakfa, città del Sahel, è liberata dai guerriglieri. Con essa tutta la regione è “zona libera”. La via verso la capitale si apre, come diceva il motto, oggi Nakfa, domani Asmara.
In quegli anni il Sahel è un importante campo di battaglia. “Qui non accade nulla tranne la guerra”, scrive nel suo diario Alemseged Tesfai, giornalista per Harbegna, (Il Patriota), rivista del Fple.
Ma non è così. I rapporti tra le persone sono fortissimi, intensi, profondi. E non tralasciano l’umorismo, “mi ricordo che una volta qualcuno mi disse” continua Alemseged, “che Dio aveva creato il Sahel perché un giorno sul suo terreno duro e pietroso, avremmo potuto sconfiggere i nostri nemici”.
Dopo la liberazione della capitale nel 1991, ottenuta l’indipendenza di fatto, nel 1993 sotto la supervisione dell’Onu, l’Eritrea conferma di voler essere indipendente, con il referendum “più affermativo della storia” e, con un sì pari al 99.8 per cento, diventa indipendente di diritto.
Pochi però gli anni di tregua, poi una nuova guerra.
Nel 1998, formalmente per una questione di confini ex coloniali, l’Eritrea e l’Etiopia si scontrano ancora, per due anni. In seguito, nel 2002, una commissione internazionale stabilirà che l’area contesa è eritrea. Decisione che l’allora premier etiopico Meles Zenawi non riconosce, innescando una guerra fredda appoggiata dall’alleato americano.
La condizione di no peace, no war termina solo nel 2018, con la stretta di mano e l’accordo di Asmara tra il nuovo primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed e il presidente eritreo Isaias Afwerki.
Quella eritrea è un’indipendenza conquistata e mantenuta con tenacia, giorno per giorno.
Un percorso spesso in salita, non privo di sgambetti e ostilità internazionali. Tuttavia i dati parlano chiaro. Buoni i risultati, in linea con quelli stabiliti dagli obiettivi del Millennio, per la sanità. Buoni i risultati per la scolarizzazione. Nel 1991 in Eritrea c’erano 471 scuole frequentate da 220 mila studenti e una sola Università ad Asmara. Oggi ci sono (e i dati non sono aggiornatissimi) 1.540 scuole per 900 mila studenti e 7 College in varie zone del Paese.
Del resto girando per il Paese, i giovani eritrei che si incontrano sono diversi dai loro nonni e anche dai loro padri. I Millennial sono scolarizzati, sani, forti, determinati. Le loro aspettative sono alte. In un mondo globalizzato nel quale la connessione virtuale azzera quasi le differenze, subirle può provocare frustrazione. Tuttavia vale la pena di ripetere che è grazie alla lotta per l’indipendenza e alla forza delle generazioni passate se oggi i nati dopo il 2000 non hanno più visto la guerra. Possono studiare, lavorare ma anche allenarsi, pedalando in bicicletta dalla costa all’altopiano, come l’astro nascente del ciclismo internazionale, Biniam Girmay, simbolo per il Paese di pace e libertà.
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