EritreaLive intervista Cécile Kyenge, in corsa per le elezioni europee
Ieri, al termine della campagna elettorale per le elezioni europee, abbiamo intervistato l’onorevole Cécile Kyenge, per cominciare con lei, come con altri politici italiani che si occuperanno d’Europa, un dialogo che ci tenga al corrente di quanto accade a Bruxelles.
La politica estera in Italia, anche sui quotidiani, è lettura di nicchia. Solo davanti agli orrori di un “mare chiuso”, quello del Mediterraneo, e alle polemiche sugli arrivi dei migranti, ci accorgiamo che la politica estera è una faccenda molto concreta, che ci riguarda da vicino.
In attesa di poter mandare in onda l’intervista all’onorevole Kyenge, ne propongo una breve sintesi.
Nel prologo del suo libro Ho sognato una strada. I diritti di tutti, lei onorevole Kyenge scrive «chi lascia la propria terra d’origine sogna una strada verso il futuro», questa strada l’Unione europea potrebbe facilitarla, renderla meno accidentata?
L’ Unione Europea in questo momento è un’opportunità.
Però la campagna di queste elezioni non ha aiutato a capire che cos’è l’Unione Europea, perché dobbiamo andarci. Abbiamo assistito a una campagna denigratoria fatta di toni alti, di scandali, per colpire.
Noi dobbiamo cambiare le cose.
Voglio dire è arrivato il momento di cominciare a parlare di rispetto per gli altri. L’Ue è un’opportunità, un luogo dove tante nazioni si ritrovano con un unico obiettivo, uno strumento che aiuta a discutere i problemi della quotidianità che è più difficile, per ogni nazione, risolvere da soli. Finora hanno discusso solo di questioni economiche adesso bisogna cominciare a parlare anche di questioni sociali, quotidiane.
L’Unione Europea oggi non è il male peggiore, il male peggiore è il populismo.
L’unione per l’Europa è l’ opportunità di condividere le questioni, di parlare uno stesso linguaggio anche se non con la stessa lingua
Ernesto Galli della Loggia sul CdS di settimana scorsa ha scritto che la sollecitudine per i diritti dell’uomo che suona alta a Strasburgo e Bruxelles diventa un sussurro impercettibile sulle spiagge e tra i flutti del Mediterraneo. Secondo lei l’Ue pensa che l’Italia debba arrangiarsi e che Lampedusa sia un problema solo nostro?
Nel 2003-2004 chi doveva andare in Europa a chiedere di cambiare la norma (ndr Convenzione di Dublino) che impedisce una libera circolazione dicendo che chi arriva in Grecia, Italia, Spagna, lì deve chiedere asilo senza più possibilità di cambiare?
Una norma, come dicevo, che impedisce la libera circolazione.
Al governo in quel momento c’erano Maroni Bossi, Fini che avrebbero dovuto occuparsi di questo, invece erano occupati a chiudere le frontiere. Poi Maroni, Ministro dell’Interno, davanti all’emergenza del nord Africa ha scoperto che esisteva la libera circolazione e ha cominciato a gridare al lupo al lupo.
Il politico deve guardare verso il futuro, non fermarsi al presente.
Noi dobbiamo far capire all’Europa che chi entra in Italia entra in un territorio Schengen.
Questo è un punto politico fondamentale, non si tratta di chiudere le frontiere ma di avere una politica europea per l’asilo.
L’Ue deve diventare più forte e pensare anche ai corridoi umanitari che devono essere un tema internazionale, non solo europeo.
In questo momento abbiamo 230 milioni di persone in mobilità, dobbiamo dare loro una risposta. Asilo e immigrazione devono portare l’Europa a dialogare con le Nazioni Unite .
Ma chi mandiamo a dialogare, chi ritiene che le frontiere vadano chiuse, che la gente muoia nel Mediterraneo? Sono morti più di 20 mila persone in questi ultimi 15 anni.
La persona dev’essere al centro della politica, come ha fatto capire molto bene Papa Francesco a Lampedusa.
Tornando alla sua biografia: in Italia lei per mantenersi agli studi lavora part-time, impara la lingua anche grazie alle parole delle canzoni, familiarizza con le usanze, si laurea in corso, con il massimo dei voti, decide di rimanere in Italia e fare il medico.Che consigli darebbe a un giovane straniero con lo stesso sogno?
Innanzitutto direi di fare cose di cui non debba mai pentirsi e neppure vergognarsi, questo è un punto fondamentale. E poi di non mollare mai, di andare avanti con il proprio sogno, esistono molti strumenti per realizzare un sogno.
In questo senso le comunità potrebbero essere i primi mediatori culturali, aiutando il welfare delle nostre istituzioni. Quando una persona arriva ha bisogno non solo di sportelli ma anche di relazioni umani e sentirsi parte di una comunità è una tendenza normale. In un posto nuovo si cerca di crearsi una nuova “famiglia”. Avere il supporto di una comunità è fondamentale, situazione che non esiste in tutte le nostre città.
La scuola, elemento centrale per la formazione dei futuri cittadini, di fatto è sempre più multi etnica. Lei ha detto “no” al tetto del 30% di alunni stranieri nelle classi e no alle classi “ponte” perché? Qual è il suo punto di vista e cosa intende contrastare?
Noi oggi abbiamo bambini stranieri nati in Italia o arrivati molto presto, a pochi mesi, mettere un tetto quando quei bambini sono considerati erroneamente ancora stranieri ma potrebbero benissimo essere italiani, vuol dire non affrontare il vero problema, quello della cittadinanza.
No alle classi ponte perché serve la mescolanza, non l’isolamento che non arricchisce né chi arriva né chi è sul territorio che potrebbe trarre vantaggio da culture diverse.
Abbiamo aperto con il suo libro, vorrei chiudere citandone un altro, un saggio di Jürgen Habermas del 1994 nel quale si richiama la Convenzione di Ginevra e il diritto dei profughi a ricevere asilo, concludendo però che “la massa di coloro che intendono emigrare è sempre stata formata, a partire dalla scoperta dell’America…sia da immigrati in cerca di lavoro sia da profughi in fuga dalla povertà, i quali cercano nel loro insieme di sottrarsi alla miseria sofferta in patria… contro questa immigrazione proveniente dalle regioni povere scende in campo il nazionalismo europeo del benessere”.Lei pensa che domenica si voterà per un’Europa diversa?
Il mio slogan recita l’Italia è pronta aggiungo, anche l’Europa è pronta.
Il fatto di avere gente che va a votare per l’Europa è già una vittoria, qualunque siano i risultati anche se spero, ovviamente, che i populisti siano sotto le aspettative statistiche.
Noi in Europa abbiamo bisogno di un futuro della speranza non solo di chi urla più forte cercando di costruire la “fabbrica della paura.” Anche in pochi possiamo smantellare questa fabbrica, andando in massa a votare, questo è il mio invito.
Un’ultima domanda, su chi urla più forte, una pericolosa banalità del male, la stessa che, per alcuni, rende divertente il lancio di banane. Come crede possa cambiare, nel breve periodo, questo modo di pensare?
La routine del razzismo è pericolosa, non considera il peso delle parole. Contro questo modo di far politica, io conduco una battaglia molto forte. Chi fa politica non deve distruggere la cultura del rispetto. In questo periodo sembra che si sia cercato di far passare ad hoc stereotipi razzisti per alimentare conflitti all’interno della società.
©Marilena Dolce
@EritreaLive
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