Eritrea, Asmara, le indagini del maggior Aldo Morosini
Intrigo internazionale ad Asmara, nell’ultimo giallo di Giorgio Ballario ambientato in Eritrea.
Aldo Morosini stavolta indaga ad Asmara, in Eritrea.
Dopo Morire è un attimo, Una donna di troppo, Le rose di Axum e Le nebbie di Massaua, il ciclo dei gialli storici africani del giornalista Giorgio Ballario continua con Intrigo ad Asmara.
Giorgio Ballario, con il suo protagonista, maggiore Aldo Morosini, racconta ancora una volta la storia coloniale italiana nel Corno d’Africa. Storia che nel giallo diventa scenario di intrighi e delitti.
Una premessa, dei gialli è criminale svelare la trama, quindi nessuna recensione. Scriverò però delle atmosfere, dei luoghi e della storia che il libro racconta. Perché, come sappiamo, leggere un buon libro è anche, o soprattutto, farsi coinvolgere dall’atmosfera narrata.
È l’inverno del 1937 quando il maggiore Morosini inizia a lavorare ad Asmara. Da Massawa dove l’avevamo lasciato, ora vive nella capitale eritrea. Non è più carabiniere, fa invece parte della polizia coloniale dell’Africa Orientale Italiana.
Sono gli anni in cui Asmara cambia forma. I quattro villaggi originari, risistemati con i piani regolatori di Ferdinando Martini, stanno modificando l’aspetto di Asmara, “moderna urbe che il mondo ci invidia”, pensa Morosini. In quegli anni la città ha circa centomila abitanti. Per i civili e i militari di stanza oltre al dovere non mancano divertimenti e feste esclusive.
Tutto in città ha un nome italiano, cominciando dalle vie. Poi i bar, Istria e Crispi, le trattorie toscane, con piatto del giorno e bottiglie di Chianti. Infine le campane della Cattedrale cattolica nella via principale, ora Harnet Avenue, che ai quei tempi si chiamava Viale Mussolini.
È una città tranquilla Asmara, cui però sia il maggiore sia il maresciallo Eusebio Barbagallo devono ancora abituarsi. Non fosse altro che per l’altitudine montana dell’altopiano che toglie il respiro se si va di corsa.
Per le strade circolano non solo cavalli e carri trainati da asinelli ma anche Fiat, Balilla e la più elegante Ardita. La domenica, dopo la messa, le famiglie passeggiano, i ragazzini giocano con la fionda, si comprano “cabaret di pasterelle” da portare a casa per pranzo. Insomma per i coloni italiani, Asmara è una seconda patria accogliente.
I quartieri che il maggiore percorre durante le sue indagini sono soprattutto quelli europei, dove ci sono la Posta, la Casa del Fascio, il teatro, i cinema. Ma anche il mercato, il caravanserraglio e Ghezza Banda, quartiere nuovo dove si stanno costruendo villette con giardino, ovviamente per i coloni.
E poi l’Albergo Italia, “un edificio a due piani in Corso del Re”, oggi Nakfa Avenue, “aperto nel 1899 dalla famiglia Menghetti” e ancora oggi attivo.
“Il severo palazzo dallo stile umbertino celava un hotel raffinato con venti camere dotate di tutti i più moderni servizi, oltre a caffè, ristorante e ambienti comuni ricchi di specchi, marmi e tendaggi pregiati. Il personale sia eritreo, sia italiano si muoveva con professionalità e circospezione e l’albergo era ancora considerato il migliore della città, nonostante la concorrenza dei più moderni Hamasien e CIAOO gestiti dall’omonima Compagnia Immobiliare Alberghi dell’Africa Orientale”.
All’intrigo giallo si aggiunge il nero dell’Ovra, la polizia segreta fascista.
Così Morosini ritrova ad Asmara l’ispettore Eugenio Satriano, una lontana conoscenza che non gli aveva lasciato un bel ricordo, “e non solo per quell’aspetto sgradevole da predatore e per i modi spicci da sbirro politico”. A Morosini lui non piace perché sa che “gli agenti della polizia politica voluti da Mussolini nel 1930 per contrastare in modo più vigoroso gli antifascisti, non andavano troppo per il sottile nel perseguire i propri interessi”.
Antipatia reciproca. L’Ovra infatti considera i carabinieri di cui Morosini è stato parte troppo vicini al re.
Stavolta però Morosini e Satriano dovranno collaborare. Accanto a loro, per dare una mano nelle indagini, c’è Gualtiero Bonvicini giornalista epurato dall’Italia che adesso lavora per il Corriere Eritreo. Un alcolizzato, “capelli un po’ lunghi, arruffati, baffi non curati a dovere, sembrava non si radesse da un paio di giorni”. Una sorta di insabbiato obbligato a rimanere in colonia per mancanza di alternative, che si rivelerà però meno peggio del previsto.
Polizia segreta, comunisti, delitti, indagini. Un intrigo che si complica e porta Morosini ad Addis Abeba, in Etiopia.
Prima però lo attende un viaggio in treno.
“La littorina” presa ad Asmara “procedeva spedita in direzione Massawa”. “Il treno ci avrebbe messo tre ore e mezzo per completare i 120 chilometri che separano la capitale dalla città costiera, un tempo di percorrenza giustificato non tanto dalla distanza tra le due città, quanto piuttosto dall’incredibile pendenza della strada ferrata: i binari si gettano a rotta di collo dai 2.347 metri di Asmara fino agli zero metri sul livello del mare della stazione di Massaua”. A Morosini che guarda dal finestrino scorrono le immagini di “una grande opera dell’ingegno italiano conosciuta ormai in tutto il mondo. Dal 1910 Asmara e Massaua sono unite dalla ferrovia con tre corse giornaliere, ma a breve forse già in primavera sarebbe stata inaugurata un’altra ciclopica infrastruttura: la teleferica per il trasporto delle merci dal porto all’altopiano”. Un lavoro commissionato alla Ceretti e Tanfani di Milano che funzionerà fino a quando non verrà smontato e disfatto dagli inglesi, dopo il 1941.
Il viaggio in treno porta Morosini nella calda e sonnolenta Massaua, città affascinante e molto amata dal maggiore. Qui ritrova gli amici per parlare del caso. Chiede inoltre al suo ex comandante di poter essere aiutato nelle indagini ad Asmara dallo scium basci Tesfaghì, personaggio presente anche negli altri romanzi. La sua conoscenza delle lingue locali, delle persone, delle usanze e l’amicizia con Morosini saranno importanti per la soluzione dell’intrigo.
Tappa successiva per Morosini e Tesfaghì è la partenza per Addis Abeba da Asmara, “aeroporto Umberto Maddalena”. Salgono a bordo di un tre motori Savoia-Marchetti SM 73, compagnia Ala Littoria, che trascorse circa cinque ore li porterà ad Addis Abeba, nuovo fiore in amarico, ora capitale dell’impero.
Qui Morosini passeggia per le vie della capitale abissina con nomi italiani, via Asmara, viale Tevere, via Bengasi, via Cardinal Massaia. Fermandosi al Caffè Nobile per fumare una sigaretta.
La svolta nell’intrigo di Asmara arriva con il coinvolgimento del vicerè Rodolfo Graziani.
Morosini incontra per strada un vecchio amico, il capitano dei bersaglieri Aurelio Niccolai che, messo al corrente della missione segreta, gli propone di incontrare Graziani.
In seguito, per un soffio, Morosini non resta vittima di un agguato. A cercare di ucciderlo non sono ladri ma shiftà, guerriglieri Tigray, pronti a tutto e contro la dominazione italiana. Fortunatamente Morosini la scampa, ma si rende conto che Addis Abeba non è Asmara.
Nel 1937, dopo l’attentato al vicerè Graziani, carabinieri e camicie nere stanno facendo azioni di giustizia sommaria, raccogliendo i condannati a morte per le esecuzioni. Circa l’attentato il duce era stato categorico, “tutti i civili et religiosi comunque sospetti devono essere passati per le armi”. E Graziani non se l’era fatto ripetere. Tuttavia dietro l’attentato al vicerè c’è una trama più complessa. Questo è il tema del romanzo I fantasmi dell’Impero, basato su documenti storici e ripreso dal giallo, per alimentare la trama.
Per concludere, senza svelare più nulla, un classico pranzo domenicale. Solitamente di domenica Morosini lavora in ufficio. Stavolta però l’indagine è terminata, perciò il maresciallo Barbagallo lo invita da lui a pranzo. Arriva così nelle ultime pagine, un altro spaccato di Asmara, 1937, zona Ghezza Banda.
La moglie del maresciallo, signora Gina, prepara per il maggiore la sua specialità, “agnolotti con ripieno d’arrosto, verdure e salame cotto”. E Barbagallo “stappa una bottiglia di quelle giuste”. Morosini invece, prima di arrivare, si ferma in una pasticceria vicino alla Cattedrale per comprare un dolce e non presentarsi a mani vuote.
Riti, educazione, semplicità di un tempo che fu.
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