A Roma le città d’Africa e l’Eritrea tra passato e Moderno
Città d’Africa a Roma e città dell’Eritrea: dal passato di Adulis al Moderno di Asmara, patrimonio Unesco
Nei giorni scorsi a Roma si è parlato delle città d’Africa, dell’urbanizzazione come possibile fattore di crescita e del rapporto con l’Italia.
Un convegno promosso dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Maeci, cui hanno partecipato rappresentanti istituzionali e delegazioni di moltissimi paesi africani.
Tra questi l’Eritrea.
Per l’Italia ha aperto i lavori sul convegno Città d’Africa Angelino Alfano, Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale che ha detto: “siamo convinti che l’urbanizzazione non debba essere solo un fenomeno sociale da osservare ma anche un fattore di crescita e prosperità”. “Non è un caso”, ha continuato, “che ai lavori per la definizione dell’Agenda 2030 abbiano partecipato numerosi sindaci del mondo”.
Infatti con il punto 11 del SDGs, Sustainable Development Goals si chiede a città e comunità di diventare sostenibili. Questa è la via per spezzare l’immagine delle città d’Africa fatte di strade in terra battuta, villaggi di capanne o, peggio, baraccopoli violente.
Si stima che nel 2030 il tasso di urbanizzazione africano sia del 50% per arrivare al 60% nel 2050, anno in cui la popolazione africana sarà la più numerosa e giovane del pianeta.
Le Nazioni Unite inoltre affermano che nelle città africane vivranno 569 milioni di persone, più che in Europa e in America Latina.
Volgere lo sguardo allo sviluppo delle città africane perciò è una priorità. L’obiettivo è creare città “inclusive, sicure, durature e sostenibili”. Città dove tutti possano vivere e lavorare dignitosamente.
Secondo uno studio del 2016 dell’AEO (African Economic Outlook), realizzato con la Banca Africana di Sviluppo (AfDB), l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e il Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), l’urbanizzazione dell’Africa potrà essere il traino per una “trasformazione strutturale” in grado di rendere migliori e più sicure le condizioni di vita.
Motore di questa trasformazione non sono le megalopoli ma i piccoli centri. Nelle medie città africane, infatti, vive la maggior parte della popolazione. In Africa Orientale, il 91 per cento. Sono queste le città che devono ricevere l’aiuto delle amministrazioni locali per diventare sostenibili.
E sostenibile Asmara, capitale dell’Eritrea, città nata a misura d’uomo e tale rimasta fino a oggi, lo è già.
Di Asmara e Adulis si è parlato durante un approfondimento all’interno del convegno sulle città d’Africa.
Due città speciali, per motivi diversi.
Da un lato Asmara, esempio italiano di colonialismo urbano. Città occupata nel 1889 dal generale Baldissera che comincerà ad assumere l’attuale forma con il governatore Ferdinando Martini (1897-1907). Oggi Asmara è stata inserita, proprio per la sua forma urbana e la sua particolare architettura tra i patrimoni dell’umanità.
Dall’altro Adulis, il passato dell’Eritrea, una città nascosta ancora da riscoprire.
Questi i temi dell’incontro del 14 novembre presso la Società Geografica Italiana.
Giuseppe Mistretta, direttore centrale per i paesi dell’Africa Sub Sahariana pone la domanda cruciale: “cosa possiamo fare noi italiani per le città africane?” Il sottinteso è che l’Italia ha più idee che fondi. Ha le competenze e le persone ma non può reggere il paragone con quanto messo in campo da altri e più forti organismi internazionali.
La speranza dell’ambasciatore Mistretta, fino al mese scorso rappresentante dell’Italia ad Addis Abeba, è che rimanga nelle città africane il tocco italiano, seppur di colonialista memoria.
Per questo motivo cita il lavoro di Arturo Mezzedimi, architetto di Heilè Selassiè che costruisce, tra i molti altri edifici, l’Africa Hall, sede ancora oggi dell’UNECA, Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’Africa.
E proprio Mezzedimi, architetto della superproduzione, come è stato definito, ci riconduce ad Asmara. Infatti è lì che ha iniziato il suo lavoro. Arrivato da piccolo in Eritrea insieme alla famiglia, ancora geometra e prima della laurea, progetta e realizza, tra il 1944 e il 1945, la bella Piscina Mingardi. Continuando poi a costruire, per la committenza privata e pubblica, più di mille alloggi popolari.
Il suo è uno spirito moderno. Egli pensa infatti che l’architetto debba lavorare sull’esistente, recuperandone il significato, senza stravolgere le tradizioni. Partiti gli italiani e gli inglesi, Mezzedimi non abbandona l’Africa allargando il suo sguardo da Asmara ad Addis Abeba, negli anni Sessanta.
Prendendo a modello la bellezza della città di Asmara, Mistretta conclude il suo intervento sottolineando che ciò che affascina il viaggiatore nelle città africane non sono i grattacieli o i centri commerciali, ma l’unicità delle architetture. Come nel caso della Fiat Tagliero, la stazione di servizio di Asmara, progettata nel 1938 da un altro italiano, Giuseppe Pettazzi.
“Passeggiare per il centro di Asmara”, dice a questo proposito l’ambasciatore Fesshazion Pietros, “è un piacere non solo per architetti ed esperti, ma anche per il turista e per tutti noi”. È l’eredità architettonica che rende unica la città ed è per questo motivo che gli eritrei hanno deciso di salvaguardarla e tutelarla, anche con l’aiuto dell’Italia.
“La collaborazione con l’Italia” prosegue “è importante. Contiamo sulla sua esperienza nella conservazione e nel restauro”.
L’orgoglio degli eritrei per la loro capitale è oggi ancora più forte, grazie al riconoscimento Unesco. Un orgoglio che rinsalda il legame con l’Italia, guardando oltre il colonialismo, per mantenere viva l’amicizia tra i due popoli, dice l’ambasciatore.
“Il colonialismo”, pur senza revisioni storiche fuori luogo, “ha realizzato in Eritrea” spiega l’ambasciatore Fesshazion, “edifici e infrastrutture. Non sono arrivati solo gli invasori ma anche architetti, ingegneri, urbanisti. Persone che hanno costruito una città moderna”.
Ed è questa modernità che fa bella la città di Asmara.
Città fortunata, oltre che bella. Asmara, infatti, riesce a salvarsi fino all’ultimo dai bombardamenti etiopici. Così arriva alla liberazione nel 1991 senza aver subito gravi danni.
Conquistata l’indipendenza gli eritrei decidono che la loro capitale dev’essere ristrutturata, per conservarla al meglio. Come un gioiello di valore.
Nel 1991 nascono prima il Dipartimento di Pianificazione e Sviluppo Urbano poi il DUD, Dipartimento Sviluppo Urbano. Si preparano progetti per tutte le città del paese, anche per quelle violentemente bombardate come Nakfa e Massawa.
Si decide tuttavia di iniziare da Asmara. La capitale dopo anni d’incuria ha bisogno, per i suoi abitanti, di nuove fognature e rete idrica.
Così, dal 1991 al 1998, prima del conflitto con l’Etiopia, prendono il via numerosi progetti per la conservazione e il restauro dell’esistente. Sarà la guerra (1998-2000) a fermare tali iniziative.
Nel 1997 nasce il CARP, Cultural Assets Rehabilitation Project, un accordo tra il governo eritreo e la Banca Mondiale per stabilire le modalità corrette per la ricostruzione. Attività che ha anche lo scopo di aiutare la ripresa economica e contrastare la povertà. Negli iniziali progetti CARP figurano, il restauro del Cinema Capitol e del Teatro di Asmara. Entrambi ripresi, vent’anni dopo, dall’Asmara Heritage Project, (AHP).
Ed è proprio l’Asmara Heritage Project di cui è coordinatore l’ingegner Medhanie Teklemariam a portare Asmara prima alla candidatura, poi alla prestigiosa nomina Unesco.
Come i precedenti progetti, così l’attuale, vuole preservare non solo il patrimonio architettonico ma anche cultura, tradizioni, storia del paese. Tra i siti che saranno proposti in futuro all’Unesco, ci sono infatti quelli archeologici, Koaito, Metera, Adulis, la vecchia moschea di Massawa e i monasteri.
Il lavoro che ha portato alla nomina per Asmara, spiega Medhanie, è raccolto in un dossier di 1.300 pagine. Risultato di un approccio multidisciplinare, con la collaborazione di esperti nei diversi settori, oltre naturalmente a ingegneri e architetti.
“L’obiettivo” dice “non era solo che Asmara diventasse patrimonio Unesco, ma anche che ci fosse una completa e approfondita conoscenza della città. Per questo scopo sono stati inventariati più di 4.000 edifici. Asmara ha la fortuna, infatti, di aver ereditato un prezioso archivio, con una ricca documentazione di disegni e progetti originali. Materiale indispensabile per tracciare la storia di ciascun edificio”.
L’AHP ha cercato, durante il corso dei lavori, di coinvolgere la cittadinanza, spiegando progetti e futuri interventi.
Questo non solo per motivi teorici ma anche per l’impatto che le nuove linee guida per il restauro e la conservazione avranno nel centro città. Bisogna infatti ricordare che l’ultimo piano regolatore di Asmara risale al 1938 e che le modifiche future dovranno tener conto delle esigenze dell’uomo del XXI secolo, senza stravolgere il passato. Una bella sfida.
Il primo intervento riguarda il perimetro storico del centro e gli edifici fino al 1941. Un lavoro che mette in piena luce l’eredità di urbanisti e architetti italiani.
Alcuni edifici, spiega Medhanie, sono l’evidente risultato dell’unione di tradizione e moderno. Per esempio la Cattedrale copta Enda Mariam, fusione di elementi locali per un progetto simile a quello eseguito nel 1934 da Marcello Piacentini per la chiesa del Cristo Re a Roma.
Che i progetti per le città africane rispettino le tradizioni e la cultura locale è una delle indicazioni emerse durante gli interventi dei sindaci africani.
Infine Medhanie ricorda che la proclamazione di Asmara sito Unesco comporta vantaggi, in primo luogo il turismo, ma anche responsabilità, perché d’ora i poi sul sito ci sarà lo sguardo del mondo.
Per questo motivo è stato approvato il piano 2016-2020 per l’avvio di progetti per la conservazione e il restauro urbano e architettonico.
Un altro punto toccato dagli approfondimenti della conferenza alla Farnesina è quello della sicurezza delle città. Obiettivo che Asmara ha raggiunto e che conserva. Pur divisa in zone dai piani regolatori coloniali, non ha subito spaccature insanabili tra centro e periferie.
È una città priva di insediamenti informali. Non c’è segregazione etnica o religiosa. Inoltre all’amministrazione della città partecipano le donne, altro punto importante indicato dalla conferenza.
Entusiasta del lavoro in Eritrea, del contatto con la gente e con le istituzioni, come ha detto nell’intervista a Shabait , poco prima di rientrare in Italia, l’architetto Susanna Bortolotto (Politecnico di Milano) che a gennaio inizierà (e non vede l’ora!) la nuova campagna di scavi, con agli archeologi della missione italo-eritrea.
La sua esperienza in Eritrea inizia nel 2012 per arrivare felicemente al traguardo Unesco, di cui si sente, nelle sue parole, l’orgoglio di madrina. All’inizio c’è il lavoro con l’equipe di Angelo e Alfredo Castiglioni (CeRDO), per gli scavi e la riscoperta dell’antica città sul Mar Rosso, Adulis. Una Pompei d’Africa, 40 ettari da esplorare scavando con tenacia per riportare alla luce una civiltà scomparsa.
Poi per l’architetto italiano il passaggio, quasi obbligato, dagli scavi di Adulis ai vecchi piani regolatori di Asmara.
Dice Susanna Bortolotto: “sono passata dall’archeologia adulitana aksumita ad un’archeologia del moderno”, quella di Asmara. Dove, incontrando Medhanie e unendo forze e competenze, arriva anche la nomina Unesco.
Ora inizia il nuovo lavoro. Da un lato conservazione e restauro delle città, dall’altro formazione in loco per le persone che le dovranno fare. Di questo si occuperà il Politecnico di Milano con un corso sulle metodiche del restauro architettonico e urbano e sulle procedure della conservazione del Moderno.
Anche questo un punto a favore dell’Italia. Una cooperazione in linea con le intenzioni della Farnesina.
Per conservare l’Asmara Style, spiega l’architetto, oltre alla necessaria conoscenza dei materiali, bisogna rispettare anche il colore originario degli edifici. “Il Razionalismo che in Italia si esprime con il bianco” prosegue “ad Asmara usa il colore, perché il bianco non avrebbe senso con una luminosità così forte e perché la terra portata dal vento lo sporcherebbe molto presto”.
Perciò si scelgono i colori giallo, ocra, terra, rosso pompeiano e tutte le sfumature che hanno reso così bella la città.
I quartieri eritrei sono ben lontani dal pericolo baraccopoli. Un pericolo nel quale, secondo UN-Habitat, possono cadere molti Paesi africani. Entro il 2050 ci saranno, scrive il report, numerosi trasferimenti dalla campagna alla città. Una situazione che triplicherà, secondo questo studio, la popolazione degli slum.
Infine un excursus sull’antica città di Adulis. Ne parla Serena Massa, archeologa dell’Università Cattolica di Milano.
Come Pompei anche Adulis, dice, è una città che è stata tradita, anziché dal fuoco, dall’acqua. Scompare verso il VII secolo d.C. seppellita sotto metri di fango, per una violentissima inondazione. Era una città importante e ricca. Un crocevia commerciale e culturale tra Oriente e Occidente.
La missione italo-eritrea che lavora per la sua riscoperta è iniziata nel 2011. Grazie al CeRDO e al contributo di diverse università italiane, tra le quali l’Orientale di Napoli.
La città era stata già individuata da alcune missioni precedenti, fino a quella di inizio Novecento dell’archeologo italiano, Roberto Paribeni. Poi però nuovamente abbandonata alla sabbia e al limo.
Al momento solo una piccolissima parte dell’antica Adulis è stata riportata alla luce. Ritrovamenti che ne raccontano la vita quotidiana, le case, i negozi, le monete, le chiese.
Una delle tre chiese è quella che Paribeni definì “Ara del Sole”. In realtà tali chiese costruite nella seconda metà del IV secolo d.C potrebbero essere le più antiche testimonianze del cristianesimo nell’area del Corno d’Africa.
La storia direbbe dunque che Adulis, che faceva parte del regno di Aksum, era una città cristiana. Notizia che ha suscitato l’interesse del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana.
Il fascino del racconto della missione di Adulis continuerà il prossimo gennaio 2018.
Per chi, pur restando in Italia, volesse vedere uno scorcio di Adulis, la città perduta, incontrandone i frammenti e le testimonianze, il consiglio è di visitare la bella mostra di Varese, a Villa Toeplitz, presso il Museo Castiglioni.
©Marilena Dolce
@EritreaLive
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