19/04/2024
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Domani 13 aprile arriveranno a Ginevra, in Svizzera, i venticinque ciclisti eritrei partiti lo scorso 31 marzo dalla Svezia. Il loro obiettivo è stato correre per consegnare una lettera alle Nazioni Unite nella quale si chiede l’attuazione di quanto stabilito tredici anni fa dalla Commissione Confini Eritrea Etiopia, cioè l’ abbandono da parte dell’Etiopia della zona eritrea. 

La guerra del 1998, arrivata come una doccia fredda per l’Eritrea che usciva, con la conquista dell’indipendenza nel 1993, da una lotta durata trent’anni, prima di terminare nel 2000, uccide e ferisce, da entrambe le parti, molti soldati, chiamati ancora una volta a combattere.  

A consegnare la lettera, a chiedere che l’Eritrea abbia una giusta pace ci sarà anche Yonas, un giovane che oggi vive in Svezia su una carrozzella perché, in quel conflitto, ha perso l’uso delle gambe ma non il desiderio di giustizia.

Pubblichiamo la sua storia, raccolta durante il giro da  Daniel Wedi Korbaria cui è impossible non associarsi per urlare: “Forza Yonas”. 

Ho incontrato Yonas a Francoforte quando il Giro per la verità, la pace e la giustizia  era arrivato a metà del suo percorso iniziato a Goteborg e che si sarebbe concluso a Ginevra. Quando gli strinsi la mano mi accorsi che indossava dei guanti neri per nascondere calli vistosi e continuava a sorridermi. Non riuscivo a credere di poter trovare un sorriso così gioioso sul volto di un disabile ed è stato proprio quel suo sorriso a incoraggiarmi a chiedergli: «perché ti sei unito al Giro spingendo la tua carrozzina dietro ai ciclisti?»

«Volevo, simbolicamente, partecipare almeno ad una tappa del Giro, giusto per dire che c’ero anch’io, ma veder piangere le tantissime madri e sentire le loro suppliche mi ha davvero incoraggiato a proseguire» mi confessò Yonas,  commosso a sua volta.

Infatti le donne eritree che aspettavano l’arrivo del Giro a Francoforte sono rimaste sorprese di vederselo arrivare in carrozzina, spinto dalla sola forza delle sue braccia. Sono state proprio loro, piangendo e promettendo di sostenerlo anche materialmente, ad incoraggiarlo a proseguire verso Ginevra. La commozione a Francoforte era palpabile anche tra i ciclisti che, spinti dalla nuova forza di questo giovane in carrozzina, sarebbero arrivati in cima al mondo.

Yonas ha accettato di buon grado, pronto ancora una volta a dare tutto alla “sua” Eritrea.

Aveva 16 anni Yonas Haile Zerai quando, nel 1990, si unisce al Fronte Popolare di Liberazione dell’Eritrea, entrando un anno dopo sano e salvo ad Asmara insieme ai vincitori. Il Colonello Menghistu Hailemariam era fuggito all’estero e nel ‘93 l’Eritrea è dichiarata la 182ma Nazione. Cinque anni di relativa pace ma  nel ‘98 la guerra scoppiò nuovamente e Yonas è richiamato alle armi, una guerra che ha causato molte giovani vittime da entrambi i fronti. E  nel 2000, poco prima dell’armistizio, Yonas perde in battaglia l’uso delle gambe.

Sono già quindici anni che vive seduto su una carrozzella, senza per questo aver mai smesso di regalare il suo bel sorriso a chi lo guarda e lo saluta.

Il Giro per la verità, la pace e la giustizia all’Eritrea è un’iniziativa della folta comunità di eritrei residenti all’estero che vogliono ribadire la richiesta di rispetto delle decisioni “definitive e vincolanti” già adottate dalle Nazioni Unite e che l’Etiopia continua ad ignorare, occupando illegalmente i territori eritrei.

Yonas non prova sentimenti di odio o di vendetta nei confronti dell’Etiopia e del suo popolo. Anche lui, come molti cittadini della diaspora eritrea, vuole soltanto che venga garantita la verità, la pace e la giustizia. Nient’altro.

Il suo sudore, così come quello dei ciclisti che hanno già percorso oltre 1200 km di strada, vuole testimoniare e portare questo messaggio di pace e di legalità. Non a caso nel logo della manifestazione sono raffigurate una colomba e una bilancia.

Yonas, timido ma determinato, dice: «mi batterò fino alla morte per vedere tutelata la sovranità del mio Paese. Per questo ho lottato, per questo ho perso le gambe e se necessario sono pronto ad arrivare persino sotto al palazzo di vetro delle Nazioni Unite di New York!».